Diciannove stagioni fa, con amici che già la conoscevano, salii per la prima volta la panoramica cima della Costa del Bartoldo, la più celebre anche se non la più alta somità del gruppo del Pomagagnon, che incornicia Cortina. Mi piacque, e così quaranta giorni dopo la rifeci, tornandovi poi regolarmente quasi ogni anno. Per numerose stagioni non volli mancare all’appuntamento consueto con una montagna dove - come scrisse un amico giornalista dopo averla visitata nell'estate 2002 - “ci vanno in pochi, pochissimi, perché si fa fatica, non ci sono impianti a fune e neppure rifugi, non c’è proprio un sentiero e quella traccia non è segnata, niente cartelli.” Sotto la croce di vetta, in un barattolo oggi rugginoso e scassato ma ancora adatto alla bisogna, il 28 settembre 1996 riposi un quaderno. Nell’estate 2000 la croce, che da mezzo secolo sfidava bufere e nevicate, fu sostituita con una nuova, robusta e splendente, ma dopo un attimo di celebrità la cima tornò silenziosa come ai tempi dei pionieri. Dopo una prolungata assenza, sono tornato sulla Costa nel 2002 e poi, finora per l'ultima volta, nel 2005. La prima volta sfogliai attentamente il "mio" libro di vetta, contando 164 firme: quindi, ogni stagione, 27 alpinisti hanno seguito le orme di von Glanvell, von Saar e Domènigg, gli austriaci che giunsero per primi lassù il 31 luglio 1900. Ritengo che la via normale della Costa costituisca una delle gite di media difficoltà più soddisfacenti d’Ampezzo. Dalla cupola sommitale si domina Cortina, adagiata 1200 metri più in basso, e il panorama sull'ambiente circostante è davvero grande. Pur essendoci salito molte volte, pensando alla Costa mi verrebbe voglia di lasciar correre altri progetti e salirvi ancora: seguire il ruscello asciutto che s’interna fra le rocce con allegri salti, il ripido declivio di ghiaie e magro pascolo, spesso punteggiato di camosci, che s’interna verso la meta e il divertente gigantesco diedro che porta in cresta, a due passi non banali dalla croce. Ne è sempre valsa la pena.
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