Domenica 23 ottobre 1983. Venerdì ho passato l'esame di diritto amministrativo, e sono tornato subito fra i monti per onorare come si deve il mio piccolo successo. Una settimana fa, per sfuggire alla tensione dell’esame imminente, ho salito da solo la ferrata “Strobel” della Punta Fiames: oggi voglio starmene in zona, per salire anche la “Bovero” sul Col Rosà. Da solo, per necessità ma anche perché qualche volta è pure meglio. Zaino leggero e tuta, in autobus sino a La Vera, poi a Fiames a piedi: entro nel bosco e poco dopo - per il comodo, ombroso sentiero di Val Fiorenza – esco in Posporcora. L’aria è quella limpida e frizzante di un bel mattino d'autunno: niente freddo, il silenzio è magico. Supero l’erto pendio che porta alla ferrata, e all'attacco incontro tre veneti, tra cui una bella ragazza. Scambio due parole, ho quasi fretta, la cima mi attende. Un tratto in libera, e solo sulla famosa traversata aggancio i moschettoni: assaporo la grande esposizione di quei cinque metri ben attrezzati, in breve sono fuori e salgo rapido fino ai mughi sotto la vetta. Passo le ghiaie, corro lungo il camino con gli scalini di guerra e sono in cima, mentre il campanile annuncia mezzogiorno. Non c’è nessuno: una brezza fresca, un sole slavato, un grosso gracchio che attende la colazione ed io. E’ la giornata in cui sto apprezzando di più l’isolamento di una cima, così battuta in alta stagione: immagazzino più che posso il panorama circostante, l’emozione di essere lassù, dominare la vetta e stare bene, in equilibrio e in pace con me e con la natura. Sul terrazzo di vetta, esposto sulla parete che guarda Fiames, riesco persino a farmi una dormitina. Non vorrei scendere, e rifletto sulla possibilità di stare quassù, vivendo di alberi, animali, sole e vento. D’improvviso, un refolo rabbioso mi risveglia da quella quiete: a casa mi aspetta il “Liebman”, il famigerato manuale di Procedura Civile...
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