La passione per la montagna mi ha permesso - collezionando esperienze tutto sommato d’ordinaria levatura, ma tutte "vissute" e gratificanti - di scoprire cime e vie, sognarne tante altre, fare progetti, conseguire successi e sconfitte. Credo però che anche queste appartengano all’esperienza della montagna e si ricordino con piacere, salvo che non siano divenute dolorose. Tornai a casa battuto da qualche via, tra cui la Lacedelli sulla Torre Grande d’Averau, la Dibona sulla Torre Grande di Falzarego, la Dimai sul Campanile Dimai. Quest’ultima prometteva di essere una grande salita e pensandoci oggi, tempo dopo, mi dispiace veramente non averla completata. Il ritiro dipese soltanto da un temporale, che ci prese a metà salita e ci obbligò a ripiegare in fretta. Eravamo già saliti per varie lunghezze, i due tiri più difficili, V secco, erano subito sopra di noi, quando si scatenò il diluvio. A scanso di guai, approfittammo di una cengia baranciosa e riuscimmo a traversare in quota verso la Punta della Croce e toccare il canale che la divide dalla Punta Fiames, giusto sulla verticale dello spigolo. Sul tratto di cengia che taglia la Punta della Croce trovammo una lattina di Coca Cola, abbandonata da poco. Quindi, qualcuno passava in quei luoghi disertati! Giunti sull’orlo del canalone, mentre studiavamo una discesa della quale non si vedeva il fondo, scovammo due chiodi rugginosi. Con due aeree calate atterrammo così nel canale, poco sopra il sentiero del “Calvario”. Lungo il canale c’era di tutto: cordini putridi, chiodi spezzati, moschettoni e un casco in frantumi, materiali sfuggiti a salitori dello spigolo, che sperammo se la fossero ugualmente cavata. Nonostante tutto, rientrammo a casa soddisfatti: tempo dopo, Enrico completò la via con una comune amica, e disse di aver dovuto sudare sette camicie, perché era molto meno semplice di quello che si era immaginato.
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