Un’avventura nella quale ho sperimentato sensazioni di vera solitudine alpina, risale a quindici anni fa, quando si stava svolgendo una delle fasi più appassionate del mio vagare per crode. All’epoca, alcuni amici mi avevano assegnato l’iperbolica qualifica di “Ré del marzo” (della roccia friabile). Non so perché, in molte uscite tendevo a proporre obiettivi di difficoltà limitate, ma con roccia spesso infida e con qualche rischio oggettivo che, peraltro, la buona sorte ci permise sempre di evitare. Ero in ferie: non trovando alcuno per andare in montagna, il 26 luglio progettai di godermi una traversata “màrza”, che avevo già effettuato tre anni prima con tre compagni. Partito dal Passo Tre Croci, salii la Zesta del Sorapis per la via solita e discesi per la Via Casara da SW al Rifugio Vandelli, tornando da ultimo al Passo Tre Croci. Non si trattò, invero, di una prestazione di livello tecnico esorbitante. La via comune della Zesta da N è valutata di I, anche se - a mio parere - aggirare il gendarme nel primo tratto di cresta, data l’esposizione e l’instabilità del terreno, oppone difficoltà di II. La Via Casara sul versante opposto è anch’essa giudicata di I, e questo può anche coincidere, perché il camino sotto la cima (unico passaggio delicato) lo aggirai, e il resto è un erto pendio di rocce sgretolate. L’ambiente impervio e isolato in cui si svolge la salita e ancor più la discesa, nonché la natura della roccia (palesemente scadente), rendono la traversata un po’ scabrosa anche per un amante della solitudine, per quanto preparato, attrezzato e veloce possa essere. Quel giorno mi sentivo in forma, ma fui veramente solo, soprattutto scendendo a SW, dove indovinai il varco giusto per riguadagnare il sentiero soltanto grazie alle peste dei camosci. Dopo d’allora salii su quella cima ancora una sola volta, il il 6/9/1997. Ero in dolce compagnia, e ritenni più prudente tornare a Forcella del Ciadin per la via comune, eludendo la placca iniziale della cresta con una variante, che fino a quel giorno mi era sconosciuta. Ripensandoci, la traversata del 1995 si dimostrò un’escursione assai appagante: la ripeterei volentieri, magari però non più in solitaria!
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