Sono passati già undici anni da quel sabato 16/10/1999, quando Mara e Ivano, appassionati escursionisti di Cortina che escono spesso dalle piste battute, fecero una scoperta, tanto più interessante poiché totalmente casuale, in una remota plaga del territorio di Cortina.
Salendo verso la Rochéta de Cianpolòngo, una cima posta sul crinale fra Cortina e San Vito, dopo aver visitato il cippo “numero 1” del confine fra le due comunità, a pochi passi dalla vetta gli escursionisti s’imbatterono in un altro cippo “numero 1”.
Su un lastrone roccioso apparve, infatti, ai loro sguardi stupiti una croce incisa, con la data 1779 e il numero 1, che fa esattamente il paio con quella presente circa 250 m più in basso, ai piedi del Zìgar, piramide visibile anche da Cortina che ebbe un peso di rilievo per definire i confini del territorio, al tempo anche confini fra l’Impero d’Austria e la Repubblica Serenissima.
Di questa duplice pietra di confine è probabile che fino allora nessuno sapesse alcunché. Non fu citata nei suoi pregevoli studi da Giuseppe Richebuono, storico d’Ampezzo; non la trovò né ne fece menzione Illuminato de Zanna, il ricercatore che negli anni ’60 aveva scandagliato per primo i 75 km del perimetro confinario ampezzano; non lo conoscevano i cultori di storia e d’alpinismo che chi scrive volle interpellare.
Il secondo confine “numero 1”, ripassato in vernice e copiosamente fotografato dagli “scopritori” (e poi visitato da chi scrive in più riprese, nel 2000, 2003 e 2004), è andato ad inserirsi come elemento prezioso dell’esplorazione del territorio d’Ampezzo, del quale sovente anche i residenti sanno poco o nulla.
Pur essendo raggiungibile con fatica ma senza difficoltà di roccia, giacché si mimetizza bene sulla dolomia, evidentemente l’iscrizione sfuggì a coloro che toccarono la vetta dopo il 1779. Non lo notarono, o non ne fecero parola, i cacciatori, i contrabbandieri, i pastori, i rari rocciatori che salirono la cima, e gli alpinisti che trovano sulla Rochéta la meta di una gratificante escursione da quando, nel 1986, alcuni amici hanno segnato l’accesso a minio e collocato in cima una croce e un quaderno per le firme.
Resta ancora da decifrare, e non pare del tutto intuitivo, il motivo di una duplice confinazione. Ad onore del vero, in ogni modo, una citazione illuminante sull’argomento c’è.
Leggendo il “Protocollo” del 20/8/1779, che descriveva l’andamento dei confini, i cippi e le distanze intermedie fra di loro espresse in Pertiche viennesi (m 1,896), il primo termine del confine Ampezzo - San Vito, quindi Tirolo – Cadore, avrebbe dovuto trovarsi in vetta ad una montagna, la cosiddetta “Rocchetta di Selvaniera”. Il testo originale recita così: “… la linea prosegue per la sommità delle più alte crode fino alla Rocchetta di Selvaniera rupe di grande estensione in continuazione delle crode di Ambrizzola.Ora a fianco detta cima, non potendo arrivare alla sommità, guardando verso Ampezzo fu scolpito il primo termine principale n. 1 ed una croce col millesimo 1779, in distanza dal Sasso di Mezzodì pertiche 1000.” Non è la stessa cosa, ma giacché nella fascia boschiva ai piedi delle Rochetes, sul lato di San Vito, oltre al toponimo “Ciampolongo” si rinviene anche un “Taulà Salvaniera”, il parallelo Salvaniéra – Cianpolòngo pare facile e remunerativo.
Azzardo l’ipotesi che, in prima battuta, i topografi del 1779 avessero iniziato a demarcare i confini sul terreno dal visibile “Zìgar”, dopo aver giudicato la Rochéta inaccessibile. Analogo sistema fu poi seguito al termine dei lavori sulla sponda opposta della Valle del Boite. Non riuscendo a salire il fianco S della Croda Marcora (dove qualcuno si avventurerà solo nel 1927), gli agrimensori incisero, accanto al cippo numero 10, la celebre mano, che traccia una linea di confine immaginaria verso i 3154 m della soprastante Croda.
Verificata in seguito la facilità, in senso alpinistico, della cresta che dalla Rochéta scende verso il Boite, probabilmente già nel medesimo anno i mappatori ritornarono in vetta, dove incisero la “nuova” croce con il numero 1.
L’ipotesi, più che logica, sembra probabile. La pietra di confine della vetta poi, a differenza di quella alla base del “Zìgar”, non fu fatta oggetto di ricognizione nel 1852, data della “seconda mappatura”, e nemmeno nel 1964, da parte di Illuminato de Zanna e amici. I topografi la dimenticarono, o non la conoscevano per niente?
Non essendo citato nel “Protocollo” né in altri documenti, il cippo “ritrovato” nel 1999 pare sia rimasto ignoto e invisibile per oltre 200 anni. Altra soluzione possibile non so fornire a questo piccolo dubbio storico, al quale sarebbe bello dare una risposta inequivocabile.
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