Rifugio Lavaredo, 14 agosto 1976. Attendiamo che cessi un improvviso temporale per continuare la nostra gita, quando ho modo di conoscere Severino Casara. Ho diciott’anni e mastico montagna da un pezzo, ho già fatto qualche piccola scalata sulle mie crode e mando a memoria biografie di rocciatori, nomi di cime e salite: è un’emozione inaspettata conoscere e conversare con una figura importante, ma piuttosto discussa dell’alpinismo dolomitico. Nei giorni seguenti lo accompagniamo alle Cascate di Fanes, e si diverte molto. D’inverno ci sentiamo al telefono, e l’anno dopo ci ritroviamo a Cortina; nell'autunno 1977, passo con Cesare a salutarlo a Vicenza, discutendo per ore di cose di montagna, quelle che coltivo da sempre. Il 29 luglio 1978 Casara muore, settantacinquenne. Entusiasti come potevano essere tre ragazzi, con Enrico e Federico progettammo subito di ricordare l'amico. Volevamo dedicargli non solo una via, ma un massiccio torrione che credevamo, e credo ancora inviolato, che si stacca dal piede della Croda Rotta nel gruppo del Sorapis e domina la parte superiore della Val Orita. Da lontano fa una certa mostra di sé, ma - pur avendo lambito diverse volte le sue pendici, l'ultima verso la fine di luglio 2008 - non ho mai capito esattamente quale individualità abbia. In quegli anni mi pareva che facesse la sua porca figura, quindi pensavamo di esplorarlo, provare a salirlo ed in caso di successo dedicarlo al vicentino che aveva descritto così bene le Dolomiti. Avremmo inviato relazioni e fotografie alle riviste del settore e forse ci saremmo guadagnati anche noi un posto nella storia delle crode d’Ampezzo.Come sempre, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: forse il Torrione era troppo impegnativo, forse la qualità della roccia non meritava i nostri sforzi o forse eravamo ancora poco motivati, fatto sta che alla fine non se ne fece niente. Fu davvero un peccato!
Nessun commento:
Posta un commento