mercoledì 30 gennaio 2008

i 70 anni dell'ex Rifugio Popena

Nel settore orientale della catena montuosa dolomitica del Cristallo, sul versante sud-est della Val Popena Alta, a 2214 metri di quota la cresta è incisa da una sella abbastanza ampia ed agevole, che pone in comunicazione la valle con il Passo Tre Croci e la zona di Misurina. Dalla forcella, sita a pochi metri di distanza dal confine fra Auronzo ed Ampezzo, si dirama in direzione nordest la modesta dorsale delle Pale di Misurina, che incombono sulla valle sottostante con pareti d’altezza più che onorevole. Presso il valico, sui resti delle capanne utilizzate per decenni dai pastori auronzani come ricovero delle greggi, nel 1937 o 1938 un privato fabbricò un piccolo rifugio alpino, denominato semplicemente “Rifugio Popena”. Si ha la conferma fotografica che la struttura funzionava già durante quell’inverno: nel 1941, il rifugio offriva “servizio d’alberghetto” in entrambe le stagioni turistiche e consentiva la sosta notturna a quattro persone. Da quel periodo l’insellatura, che la toponomastica ampezzana nomina “Forzela de Popena” (da non confondere con il vicino e più elevato “Passo Popena”, un valico roccioso fra le pendici orientali del Piz Popena e la Croda de Pousa Marza, oggi trascurato per l’ormai quasi impossibile agibilità del versante sud) è conosciuta come “Sella del Rifugio Popena”. Sicuramente il progetto dell’ignoto costruttore mirava a riempire un vuoto, dotando la zona di un punto d’appoggio per scalate ed escursioni, e promuovendo anche la frequentazione invernale della Val Popena Alta, che anni dopo sarebbe divenuta una pregevole meta per gli scialpinisti. L’insellatura, alla quale si può salire dal ponte sul torrente Rudavoi, da quello sul torrente Ruvieta, da Malga Misurina e dal tornante a 1659 metri di quota sulla strada che collega Misurina con Carbonin, è attorniata da una dozzina di vette del sottogruppo del Popena. In mezzo a loro, emerge in primo luogo il Piz Popena. Uno dei “Tremila” più imponenti e meno frequentati delle Dolomiti, incornicia idealmente la Sella, fu conquistato già nel 1870 da Santo Siorpaes e conta itinerari di Antonio Dimai, Angelo Dibona, Federico Terschak, Emilio Comici, Alziro Molin, Enzo Cozzolino ed altri. Seguono il bonario Corno d’Angolo, che espone verso meridione un rispettabile spigolo, scalato da Comici; il Cristallino di Misurina, conquistato nel 1864 da Paul Grohmann e trasformato in cruento campo di battaglia durante la Grande Guerra; la Croda di Pousa Marza, salita in solitaria da Michl Innerkofler e visitata poi, fra gli altri, da Severino Casara, Dino Buzzati e anche dagli Scoiattoli di Cortina; le tre appuntite Guglie di Val Popena Alta, dove Angelo Dibona prima e Hans Dülfer poi realizzarono “quinti gradi” storicamente rilevanti, ma oggi misconosciuti; le Torri di Popena, sulle quali si sbizzarrirono Innerkofler, Piero Mazzorana e Molin; le Pale di Misurina, scalate da Sandro del Torso, Valerio Quinz e Molin; la scorbutica Punta Michele, dove nel 1944 l’anziano Angelo Dibona aprì con Casara, Walter Cavallini, Otto Menardi e Luis Trenker la sua ultima via nuova. Il Rifugio Popena, probabilmente visitato da diversi fra gli alpinisti sopra citati, non ebbe una vita molto lunga. Fu raso al suolo, infatti, da un incendio, nel corso della Seconda Guerra Mondiale in base ad alcune fonti, nel 1947 o 1948 in base ad altre, e - seppure, verso la fine degli anni Quaranta, la sua riedificazione fosse ritenuta prossima - non fu mai ripristinato. L’idea di rifare qualche cosa sulla Sella del Rifugio Popena riemerge talvolta nelle cronache, ed ogni stagione potrebbe essere utile per rialzare le macerie, ormai settantennali, che non fanno bella mostra di sé sul valico, un luogo panoramico e piuttosto pregiato dal punto di vista naturalistico. La sella costituisce uno snodo di grande importanza per l’alpinista e l’escursionista, e forse lassù una struttura ci potrebbe anche stare, pur dovendo combattere in primo luogo con una scarsità idrica difficilmente risolvibile. L’ex Rifugio, in ogni caso, dista poco più di un’ora dal Lago di Misurina e l’ambiente in cui si trova non ha subito finora radicali manomissioni, pur essendo piuttosto vicino a zone assai frequentate dal turismo di massa. Se chi scrive potesse scegliere, al posto di un alberghetto, sulla sella in questione preferirebbe piuttosto veder sorgere – al massimo - un baitello incustodito, utile come ricovero d’emergenza. Questo potrebbe rivelarsi un vantaggio per gli amanti dell’alpinismo, specie invernale, e della natura, non certo un affare per il trend economico del territorio. In questa maniera, però, la Val Popena Alta - penalizzata di recente da ruscellamenti, che hanno quasi sepolto sotto le ghiaie il piacevole sentiero che l’attraversava - non rischierebbe di subire anch’essa la banalizzazione inevitabile di tante località dolomitiche, magari aprendosi all’accesso di mezzi a motore, e potrebbe starsene ancora per un po’ fuori dei successi e gli eccessi di un turismo sempre più edonistico e divoratore. Anche se lassù tutto rimanesse com’è ormai dagli anni ’40 del secolo scorso, chi scrive pensa di continuare a dirigere ugualmente i propri passi, quasi in ogni stagione, verso la Sella del Rifugio Popena e alcune delle cime che l’attorniano, mantenendo immutati la passione ed il piacere.

sabato 26 gennaio 2008

Ricordo di mio padre, a dieci anni dalla scomparsa

Quest'estate saranno dieci anni che mio padre Giuseppe Majoni non c'è più. Vorrei dedicargli queste righe, a ricordo delle poche salite che gli fu possibile compiere in gioventù. Si destreggiò in roccia per un breve periodo e, visti i tempi, anche con onesti risultati. Conoscente ed amico di “Scoiattoli” e guide, non ebbe l'occasione prima e il tempo poi di fare di più in parete, giacché cinque anni della sua vita volarono via con la divisa addosso. Non si dispiacque comunque mai di non aver salito grandi vie, e andò in montagna per tutta la vita, amando i sentieri e i rifugi, soprattutto del gruppo della Croda Rossa, e comunicando a noi, prima piccoli incantati e poi più grandi saputelli, tante emozioni e scoperte giovanili. Anni fa trovai in casa varie immagini, risalenti ad escursioni degli anni a cavallo del 2° conflitto: d’inverno ai rifugi Sennes, Fodara e Fanes, d’estate sulle vie normali del Cristallo e della Marmolada, sulla Via Dimai-Verzi della Fiames, sulla Via Inglese della Tofana di Mezzo, sulla Via Miriam della Torre Grande. Mancavano quelle, se ce n’erano, di un’altra via nota ai pionieri e poi dimenticata, dove mi disse di aver provato a salire nel 1942: il “Camino Barbaria” sul Becco di Mezzodì. Il freddo e l’umidità dell'autunno, la stanchezza o chissà cos'altro, obbligarono i due giovani a desistere, e mio padre non tornò più sul Becco, all’epoca ricercato per alcune vie che offriva ed oggi messo da parte. Intorno al 1985, il nostro miglior periodo di roccia, a me e mio fratello era balenata l'idea di salire insieme la “paré” della Fiames, che, secondo il libro di vetta, mio padre aveva salito quattro volte tra il 1940 e il 1947, lasciandoci alcune fotografie risalenti al 1941. Chissà come sarebbe andata: sento che fu un vero peccato non aver realizzato la salita, nota ed amata da decine d’ampezzani, tra cui anche Giuseppe Majoni!

lunedì 21 gennaio 2008

Nel ventre del Castello: ipotesi archeologiche a Cortina

Da un amico studioso, ho saputo che a San Vito di Cadore si sta scavando per riportare alla luce i resti di una chiesa antica a Chiapuzza, dedicata a San Floriano. I risultati delle ricerche sembrano soddisfacenti, in questi anni in cui da Auronzo a Calalzo, da Pieve a San Vito, il Cadore sta schiudendo numerose finestre sul passato delle nostre comunità. Lo studioso si chiedeva però perché nessuno abbia mai pensato di avviare una campagna di studi archeologici anche sul nostro Castello di Botestagno. Edificato intorno al 1100 dal Patriarca d’Aquileia sulla rocca che strapiomba per un centinaio di metri verso il Ru Felizon, e cancellato definitivamente dalla topografia nel 1865, il Castello è un monumento fondamentale di storia ampezzana. Di esso sono già state scritte numerose e interessanti pagine, e lassù forse sarebbe utile avviare i primi studi archeologici su Cortina. Di fatto, escludendo le due monete trovate nel 1914 a Cadin, delle quali si ha solo una vaga notizia, finora la conca ampezzana non ha mai fornito grandi attrattive agli studiosi del passato remoto. Non potremmo includere anche l’archeologia, nei futuri programmi culturali da avviare in Ampezzo? Forse la rocca di Botestagno, che oggi svela solo scarsi e muti ruderi, avrebbe molto da raccontare sul tempo che fu.

1985: con Gianni e Paolo sulle Crode dei Longerin

(Ricordi della Via Bulfoni-D’Eredità sul Torrione Ezio Culino, 8.9.1985)

Accadde tanto tempo fa, una domenica di settembre. Ero arrivato ad A. da poco, non conoscevo quasi nessuno e mi fu consigliato di fare visita a Gianni che, come me, era un grande appassionato di montagna. Detto e fatto: recuperai uno zaino e un imbraco e l’indomani Gianni, Paolo ed io eravamo già in marcia … per tentare una via nuova. Avevo fatto molte salite, ma la via nuova era un’esperienza che ancora mi mancava. Ogni perplessità si sciolse, pensando che ero abbastanza allenato, che sette giorni prima avevo salito il famoso “Spigolo Dibona” delle Tre Cime di Lavaredo, e soprattutto che mi stavo affidando a due rocciatori navigati ed entusiasti. La via nuova non ci riuscì: dopo un paio di lunghezze, fummo bloccati da una parete così marcia che avrebbe richiesto fittoni più che chiodi, e a malincuore dovemmo rientrare alla base. Non era però tutto perduto: l’instancabile Gianni propose di consolarci, ripetendo una via del suo amico Marcello, su un torrione lì vicino. Dopo tanto cammino non potevamo certo sprecare la domenica, e quella via doveva essere piuttosto simpatica. La parete costituì un’esperienza senza infamia né lode: dopo quattro cordate ci slegammo, ed ognuno salì per suo conto sull’aguzzo torrione, che sorge al centro di un anfiteatro delizioso, al tempo a me ancora ignoto. Per alcuni minuti respirai a pieni polmoni la gioia della scalata, dell’ottima compagnia, del fatto che il mio “battesimo” alpinistico con gli amici di pianura si era svolto così in fretta e felicemente. La discesa fu quasi più complessa della salita, ma tutto andò come doveva e nel pomeriggio rientrammo allegri alla malga per il “tai” di rito. Ero al settimo cielo: avevo ripetuto una via di Marcello e proprio nel suo regno, le solitarie Crode dei Longerin. Sono tornato lassù diciassette anni dopo: il torrione sul quale Gianni e Paolo mi offrirono la loro corda e la loro amicizia per una bella salita in compagnia, mi è parso quasi familiare. Da allora sono trascorse molte stagioni, ma tutto sommato mi pare ancora ieri!

sabato 19 gennaio 2008

Doro Pear, un on che i piajea 'sì in croda (in ampezzano)

Desseguro calchedun se pensarà ancora del Pear, un anpezan che i piajea 'sì in croda e l à lascià l so gnon inze "Il libro d'oro delle Dolomiti", betuda aduna da Severino Casara e stanpada del 1980. El soragnon “Pear” l i ea stà betù a un Godini - almoto pien de forza e duto fó - e l i é ruà da sa mare a chesto anpezan, che l aea gnon Isidoro Siorpaes, l ea nasciù de l 1883 e l é morto iusto 'sà zincuanta ane. Dapò ra Prima Guera, Doro l aea scomenzà a ‘sì in croda, e inze i libre se ciata l so gnon ai 10 de agosto del '19, canche - con Fritz Terschak - l à darsonto ra Ponta Negra par ra cresta che vien 'sò ves Dogana, sul vecio confin d Anpezo. Sete ores intrà barance, jera e croda mesa marza, 1700 metre dal stradon, na “arrampicata lunga e faticosa” disc el Berti, che inze deboto nonanta ane fosc negun à mai pi fato. Un an dapò, ai 9 de setenbre del '20, con Terschak, Anjelo Dibona Pilato e Julio Apollonio de Varentin, el Pear l é stà un dei prime dapò ra guera a tornà su par ra sud de Tofana de Rozes, inalora un dei parés pi nomade d Anpezo. No sei pi agnó, ma in calche luó ei lieto che in chi anes Doro el fejea anche nafré ra guida. El no n aea l parmesso, ma desseguro l aea na gran pratega e l arae podù deentà un brao maestro, par ci che vorea conosce ra Dolomites. El no n é 'sù drio i Dee, i Pilate e trope outre, ma l sò gnon el resta inze ra storia, parceche in chi anes, canche ra 'sente no pensaa de zerto a ‘sì a spasso (del '19 l ea outro da fei!), inze un dei ciantoi manco conosciude d Anpezo, el Pear e Fritz Terschak i à ciatà fora ra via fosc pi longa de ra val, che ancuoi no se sà pi gnanche agnoche r é, ma ra l recorda inze ra bela storia de ra Dolomites.

giovedì 17 gennaio 2008

Salviamo i libri di vetta sui monti!

Lasciare la propria firma in vetta ai monti che si salgono, è un'usanza antica. Nell’800, i pionieri dell’alpinismo lasciavano i loro biglietti da visita in bottiglie di vetro sotto i sassi delle cime; più tardi, i Club Alpini iniziarono a collocare sulle vette scatole di metallo, con “libri di vetta” che duravano anni. Oggi molte scatole sono ancora metalliche, ma sempre più di frequente se ne trovano di vetro o di plastica, con eleganti quaderni rilegati o normali agende scadute, talvolta colme delle futilità che lascia chi non comprende il valore di un nome, una data, un pensiero per chi sale le montagne. Il nostro Becco di Mezzodì vantava un libro di vetta già nel 1901; quello del Piz Popena, rimpiazzato nel 1981, dopo settant'anni era riempito solo a metà; sulla Torre Grande d'Averau, fra il 1927 e il 1948, ne furono lasciati tre, mentre sulla Punta Fiames dal 1926 al 1958 gli scalatori ne trovarono due; un’agenda è stata posta sulla Punta Nera nel settembre 2000, e dalla primavera 2007 anche sulla piccola Pala Perosego c'è una bella scatola, con un quaderno nuovo. Tempo fa, alcuni alpinisti notarono che qualche contenitore sulle cime ampezzane era stato rovinato, spesso addirittura smembrato da temporali, nevicate, fulmini. Si profilava quindi la necessità di trovare una soluzione a questa situazione, in modo che i libretti non ammuffissero per le infiltrazioni d’acqua, le scatole non fossero più bersagliate da scariche elettriche, per garantire che le fonti di storia alpinistica che giacciono sulle cime abbiano lunga vita. Franco Gaspari, guida alpina, propose di adottare un cilindro artigianale di plastica con un tappo a vite: impermeabile, inalterabile dai fulmini e dall’umidità, il cilindro è adatto ad accogliere un quaderno e qualche matita. Gaspari ha mostrato il prototipo al CAI di Cortina, che l’ha subito apprezzato. Su alcune vette ampezzane si possno già trovare sotto l’ometto i nuovi cilindri con i libretti che venivano spesso danneggiati da fulmini e intemperie. Resta sempre aperta la questione di chi oltraggia intenzionalmente i libri di vetta, forse perché non crede utile che sui nostri monti si trovino quaderni, in cui gli alpinisti appongono con piacere la propria firma e qualche pensiero, contribuendo così a stendere una pagina originale della storia dolomitica.

lunedì 14 gennaio 2008

I ghiaioni non sono più quelli di una volta!

Un tempo, sui nostri monti esisteva un buon numero di canaloni detritici e ghiaiosi, lungo i quali si doveva, o si poteva scendere nel corso di una gita, di solito divertendosi un mondo. Per fermarci a Cortina, da Forcella Pomagagnon, Forcella Ra Ola o dal Monte Valon Bianco, vuoi per l’inclinazione, vuoi per le ghiaie quasi polverose, si calava velocemente e comodamente (sempre con le dovute attenzioni), si copriva mezzo chilometro e più di dislivello in un quarto d’ora, e le camminate in quelle zone avevano nella discesa un elemento d’interesse in più. Anche altri canali, magari meno gustosi, erano ugualmente degni di visita: il Canalon del Pesc sul Pomagagnon, quello fra le Lavinores e Antruiles ecc.. I dissesti idrogeologici di questi anni hanno purtroppo modificato molti canali, e pochi sono ancora gradevoli da percorrere. Uno che lo è ancora, non molto noto, scende da una forcella di cresta senza nome alla testata del Cadin di Croda Rossa, e s’innesta in quello molto ampio che da Forcella Colfiedo scende al Passo Cimabanche. A noi il canalone, oggetto anche di una bella gita scialpinistica, offrì una lunga e divertente discesa, in un ambiente quasi lunare. Passammo ai piedi del Torrione Lorenzi, lo spuntone a prua di nave che caratterizza il versante sud della Croda Rossa, ma in basso dovemmo comunque fare i conti con l’intricata parte finale del vallone di Colfiedo, uno degli ultimi luoghi d’Ampezzo in cui manca un sentiero definito. Sul canalone di Forcella Pomagagnon sono tornato due anni fa: con un po’ di abilità, ma senza gran piacere, qualche scivolata si riesce ancora a fare. Il Valon de ra Ola ormai è sconsigliabile d’estate, poiché è così eroso dalle acque da aver persino cambiato colore: quello del Valon Bianco, quando scesi per l’ultima volta, era così indurito nella parte alta che un amico si fece assicurare con la corda per scendere più tranquillo. Sarà un luogo comune, ma lo ripeto: oggi neppure i ghiaioni sono più quelli di una volta!

sabato 12 gennaio 2008

E' morto Sir Edmund Hillary (1919-2008)

L'11/01/2008 si è spento ad Auckland (NZ) Sir Edmund Hillary, l’alpinista che insieme a Tenzing Norgay giunse per primo in vetta all’Everest
Sir Edmund Hillary non c'è più. L'alpinista neozelandese che insieme a Tenzing Norgay scalò per primo l'Everest, si è spento ad Auckland (NZ). Se n'è andato ad 88 anni Sir Edmund, lasciando dietro si sé una vita irripetibile ma che non riuscì a cambiare quel suo carattere semplice, ironico ed acuto di "neozelandese qualsiasi", come era solito definirsi. Era il 29 maggio 1953 quando con il suo fraterno amico sherpa Tenzing Norgay raggiunse gli 8848 metri della cima più alta del mondo. Un'impresa immensa, che per l'epoca rappresentava una sorta di sbarco sulla luna. "L'abbiamo battuto questo bastardo!" disse ironicamente a Tenzing in vetta...Le cronache di quella storica spedizione inglese guidata dal colonnello John Hunt raccontano di un Hillary dalla resistenza e dalla forza infinita (sempre insieme a Norgay strabiliò tutti per i tempi incredibili delle sue salite e discese dai campi alti della montagna). Ma ciò che lo distinse fu anche la capacità di condividere alla pari l'avventura con gli sherpa (quegli uomini che i primi alpinisti britannici dell'Himalaya definivano "le tigri delle nevi"). Forse è questo lato umano, questa grande sensibilità, al di là delle doti di alpinista, che più di ogni altra cosa definiscono il mito Hillary.Da subito s'interessò concretamente alla condizione delle popolazioni nepalesi istituendo una Fondazione (l'Himalayan Trust) che in tutti questi anni ha realizzato nei villaggi delle alti valli nepalesi 26 scuole, 2 ospedali e 12 cliniche mediche, ma anche ponti, strade e acquedotti. In questo Hillary fu assolutamente all'avanguardia su tutti gli alpinisti. Soprattutto perché intuì immediatamente la necessità che i cambiamenti, apportati dall'alpinismo occidentale in Himalaya e dal conseguente turismo d'alta quota, dovevano essere di aiuto a quelle popolazioni locali ma non dovevano snaturare la loro natura e cultura e quella del territorio. In questa sua visione fu assolutamente un esploratore, e un esempio per molti altri alpinisti che (occorre dire moltissimo tempo dopo) lo seguirono su questa strada. Non a caso Hillary è stato il primo straniero a ricevere nel 2003 la cittadinanza onoraria dal governo del Nepal, recependo così il sentimento di fratellanza che le popolazioni delle alte valli gli hanno sempre tributato.Hillary è stato un esempio di come la passione per l'avventura e per la montagna possa rappresentare un'apertura verso il mondo. La sua è stata una passione disinteressata, al di là della grandissima fama che la salita dell'Everest gli ha donato. la sua scoperta della montagna e dell'alpinismo avvenne a 16 anni, sulle sue montagne della Nuova Zelanda. Nel 1948, con Harry Ayres, compì la prima salita della cresta sud del Mount Cook, la montagna più alta della Nuova Zelanda. Scalò nelle Alpi e, prima della salita dell'Everest, partecipò a due spedizioni di esplorazione in Himalaya (Everest e Cho Oyu) che probabilmente gli regalarono la partecipazione alla spedizione vincente del 1953.E' stato scritto che la sua inclusione nella spedizione del '53 all'Everest fu dettata anche da ragioni "politiche": il neozelandese Hillary rappresentava i cittadini dell'impero. Certo è che sulla carta non era sicuramente uno degli alpinisti di punta. Ma anche questa è una circostanza che ha fatto ancora più grande la sua impresa. Dopo la prima salita dell'Everest, tra il '56 e il '65 Hillary partecipò a molte altre spedizioni himalayane, ma soprattutto s'impegnò nell'esplorazione dell'Antartide e il 4 gennaio 1958 dopo Admunsen e Scott fu il terzo uomo a raggiungere il Polo Sud. Di Sir Edmund Hillary sarà sempre ricordata la capacità di essere un uomo più che un eroe. Un uomo felice della sua vita al di là del mito. Famosa è la sua frase in risposta a chi gli faceva notare che forse George Mallory e Andrew Irvine potevano averlo preceduto in vetta all'Everest: 'È da 45 anni che sono considerato come il primo scalatore che ha raggiunto la cima. Non credo che sarei troppo deluso se si scoprisse che Mallory lo aveva fatto prima di me'. Un esempio per tutti!
(tratto da http://www.planetmountain.com/. Grazie!)

Una proposta per fare due passi

Non appena il tempo lo permetterà prendete l’autobus, l’automobile o salite a piedi, oltre le case di Col, fino al gran masso, già palestra di roccia, che incombe sulla Strada delle Dolomiti. Poco prima della galleria nei pressi del belvedere su Cortina dove d’estate si fermano tutti i motociclisti in transito, un sentiero, sistemato e segnalato qualche anno fa, s’infila subito fra i roccioni che strapiombano sulla strada. La traccia sale ripida, nell’ombroso bosco di latifoglie intercalato da salti rocciosi (una volta c’era un tratto di fune di ferro per sicurezza), lambisce una protezione di legno dalla quale si vede un bel panorama e porta in piano al piazzale dell’Ossario, monumento che spesso neppure la nostra gente conosce e visita. Dopo una breve sosta, sul retro dell’Ossario imboccate il sentiero CAI 451, che traversa la rocca di Crepa e scende fra gli alberi, con qualche facilitazione dato l’ambiente scosceso, fino a giungere in vista della strada sterrata fra Lacedel e Pocol. Passato un tratto sotto roccia, prima di congiungervi con la strada, deviate a destra e per una pista poco marcata tra gli alberi rientrate al punto di partenza. In un’oretta avrete realizzato un anello escursionistico molto interessante. Caratteristiche di questo percorso: fino a qualche anno fa, fra le rocce dimorava la colonia di camosci più “meridionale” d’Ampezzo; sui due sentieri non si trova quasi mai nessuno; specialmente nel tratto in salita (che naturalmente si può percorrere anche al contrario), l’atmosfera è abbastanza ottocentesca, quasi un po’ gotica. La zona mi piace e vi ritorno spesso, perché siamo appena sopra le case e pare di essere già molto in alto, e fra quelle rocce aleggiano ancora gli spiriti di Maria de Zanin, del soldato romano che la insidiava, delle anguane dei boschi di Federa e di tanti altri personaggi leggendari.

venerdì 11 gennaio 2008

Il vocabolario del dottor Majoni compie 80 anni

Per una volta, non parlerò di montagne o di scalate, anche se l’ambientazione di queste righe è comunque montana. Il protagonista della storia è Angelo Majoni, dentista, ginecologo ed internista la cui fama valicò anche i confini del paese nativo, cultore di studi storici e coautore della prima guida turistica vera e propria della valle, Oltre che ligio e stimato professionista, il medico fu un pioniere degli sport invernali, giocatore di golf, socio e consulente della Società Ginnastica, del Museo Elisabettino e dei Pompieri Volontari, ma non credo sia stato alpinista, almeno non arrampicatore. Quest’autunno compirà ottant’anni la sua opera più famosa, “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata. Vocabolario ampezzano con una raccolta di proverbi e detti dialettali usati nella valle”, primo ampio glossario della parlata ampezzana, che Majoni concluse ufficialmente il 10 ottobre 1928. Lascio ad un mio più dettagliato articolo, che dovrebbe uscire sulla “Rivista Cortina” nell’estate prossima, definire meglio la sostanza letteraria e scientifica dell’opera del mio omonimo. A quell’articolo vorrei però aggiungere un piccolo, simpatico episodio, che in precedenza mi è sfuggito. Il 28 ottobre 1930, ottavo anniversario della marcia su Roma, nell’osteria di Ospitale d’Ampezzo si tenne una cena. Vi parteciparono alcuni ampezzani nati nell’anno 1870, vale a dire i sessantenni del paese, uno dei quali era proprio “el dotor Majoni”. Bene: in quella occasione conviviale, il medico fece omaggio - a tutti i suoi coetanei presenti - di una copia con dedica del vocabolario, uscito per i tipi della Tipografia Valbonesi a Forlì poco più d’un anno prima. Una galanteria d’altri tempi? Ricavo questa notiziola da una preziosa copia di “Cortina d’Ampezzo nella sua parlata”, autografata e dedicata dall’autore a Gottardo Zangrandi, mio lontano parente acquisito, nato nel 1870, che deve averla consultata, visto che quando la ricevetti era piuttosto usurata!