venerdì 1 agosto 2008

Un rifugio che non c'è più

I rifugi alpini che la valle d’Ampezzo offre oggi agli amanti della montagna sono numerosi. Ce ne sarebbe uno in più, se i precisi colpi dell’artiglieria italiana non l’avessero distrutto ai primi d’agosto del 1915: il Rifugio “Victor Wolf Von Glanvell”, eretto dieci anni prima dal Club Alpino Austro-Tedesco a 2080 metri d’altezza nella romantica Val Travenanzes, che separa le Tofane dalla dorsale di Fanes, e dedicato ad un pioniere austriaco dell’alpinismo, caduto in montagna. Il Rifugio, di cui purtroppo esistono poche immagini, fu in esercizio per poco: comunque nel 1907 il conduttore Luigi Gillarduzzi Minighèl (1856-1932), intuendo che la zona avrebbe potuto avere un discreto sviluppo turistico, costruì vicino ad esso la “Sciara del Minighel”, la prima via ferrata dell’Ampezzano. Formata da 270 scalini metallici, lunghi oltre un metro e infissi sul nero strapiombo della cascata del Majarié, alto un'ottantina di metri, la “Scala” consente ancor oggi di salire dalla Val Travenanzes al Rifugio Giussani. Nonostante la posizione del Rifugio fosse tra le più felici, nessuno si preoccupò mai di ricostruirlo. Fino a pochi anni fa l’unico riparo dalle intemperie utilizzabile durante la traversata della Valle era il vetusto Cason de Travenanzes, edificio pastorale a servizio del pascolo circostante, che sorge a 1965 metri d’altezza, poco più in basso dei ruderi del “Von Glanvell”. Qualche anno fa lo storico ricovero, di proprietà delle Regole d’Ampezzo, è stato ricostruito dalla guida alpina Mario Dibona; in assenza del locatario rimane chiuso e non può essere utilizzato da chi dovesse essere sorpreso dal maltempo lungo la valle.

giovedì 31 luglio 2008

'Sacar de Radeschi e i suoi figli

Con Zita, sposa di Luigi Michielli Pelele scomparsa sulla soglia del 103° compleanno, si estingue la numerosa figliolanza di una valente guida dell'epoca aurea dell'alpinismo ampezzano, Zaccaria Pompanin "'Sacar de Radeschi". Pompanin fu in esercizio dal 1892 al 1926, ed aprì numerose vie nuove sulle montagne di casa: Sorapis (1892 e 1909), Croda da Lago (1895), Col Rosà (1899), Pomagagnon (1903), Monte Castello (11 luglio 1906), Civetta (1907), Cinque Torri (1912), ma si spinse anche sulle poco note Alpi Apuane. Morì il 22 marzo 1955 a 94 anni, e fu ricordato anche sulla Rivista Mensile del Club Alpino Italiano. A mio parere, la sua figura meriterebbe un'analisi storico-alpinistica più approfondita, che non è escluso rientri fra le mie prossime ricerche.

mercoledì 30 luglio 2008

Ponta Negra e Zesta, undici salite fuori dalla pazza folla

Riguardando le note scarabocchiate in varie sedi, ho avuto la conferma che - fino ad oggi - ho salito undici volte in totale la Punta Nera e la Zesta, le due cime più importanti della “Diramazione Ampezzana” del Sorapis. La propaggine costituisce un angolo molto caratteristico della valle d’Ampezzo. Inizia dal Valico sora la Cengia del Banco, e prima di esaurirsi al Passo Tre Croci, si articola in 7 sommità panoramiche e non molto visitate: la Croda del Valico, la Punta Nera, la Zesta, le Cime del Laudo, le Cime di Marcoira, più la minore Anticima di Marcoira. La Punta Nera, che balza nitida già dal Corso Italia di Cortina, supera i 2800 metri di quota. Non mi dilungo sulla salita e sulla sua storia: testimonio di averla raggiunta finora nel 1987, 1990, 1995, 2001, 2003, 2004, 2008 (tre volte da solo). Ne ho toccato solo l’attacco, con Marino Dall’Oglio, nel settembre 2004, per poi rinunciare data la stanchezza dell’amico. La scorbutica Zesta, invece, quotata 2768 metri, si nota bene dalla SP 48 che porta al Passo Tre Croci, e si lambisce salendo dal Passo a Forcella del Ciadin. Su questa vetta, più aspra della vicina Punta Nera, sono salito nel 1991, 1992, 1995, 1997 (una volta da solo). Penso di non soffrire di “autocondizionamento”, ma riflettendoci, talvolta mi pare di aver visitato queste cime anche in altre occasioni. Sarà forse perché, con tanti articoli e studi sulle mie montagne, le rivivo intensamente ogni volta e mi sembra di tornare lassù molto spesso! In fatto di salite, in ogni modo, non è ancora chiusa la partita e mi auguro di avere l'occasione di calcare ancora quelle cime solitarie e neglette dall'alpinismo di massa!

martedì 29 luglio 2008

La cappella di Tre Croci, un edificio storico dimenticato

Sul Passo Tre Croci (un tempo denominato dagli ampezzani In o Son 'Suogo), accanto al grande albergo e alle tre croci lignee che ricordano una madre auronzana rimasta assiderata coi due figli, verso la fine del XVIII secolo, mentre tentava di scendere a Cortina, sorge una cappella. Anche se l’iscrizione sopra l’ingresso reca il millesimo MCMV, la costruzione della cappella fu completata nel 1906, e la consacrazione avvenne il 18 aprile di quell’anno. Voluta dall’albergatore Giuseppe Menardi "Tre Crojes" in memoria della prima moglie, e dedicata poi anche al figlio Osvaldo, morto tredicenne nel 1917 per lo scoppio di una bomba, la cappella era frequentata dagli ospiti dell’albergo, al tempo sicuramente uno dei più noti della cerchia alpina, popolato dalla migliore clientela internazionale e base per escursioni e salite nei gruppi del Cristallo e Sorapis. La cappella non ha elementi architettonici o artistici di gran pregio: l’altare proviene dalla cappella della B.V. della Salute a Cadin, i candelabri, il crocifisso e la lampada votiva furono realizzati nella fonderia di Arcangelo Michielli a Campo. Sempre aperta (anche perché l'albergo al quale è annessa, ormai storica multiproprietà ampezzana, è chiuso e in ristrutturazione da anni), la cappella di Tre Croci oggi è trascurata, e sarebbe auspicabile la sua riconsiderazione, in memoria della famiglia Menardi che la volle costruire, di quanti la frequentarono nell’epoca aurea del turismo a Cortina e soprattutto del significato devozionale che rivestì, come tutti gli altri edifici sacri sparsi nella valle d’Ampezzo.

Porta del Dio Silvano, escursione d'altri tempi

Tra Fraina e Mandres, lungo il sentiero che si snoda ai piedi del Mondeciasadió (Monte Casa di Dio, antichissimo ed evocativo nome dell’odierno Monte Faloria), oltre il prato di Ranpognei, lo sguardo dell’escursionista curioso è sicuramente calamitato dalla rossa parete basale dello spalto . Proprio al centro risalta una singolare spaccatura della dolomia, un rettangolo squadrato, quasi un ciclopico portale. E’ la Porta del Dio Silvano, un luogo di culto precristiano, obiettivo turistico di un certo interesse nell’Ottocento, ma oggi poco conosciuto ed ancor meno frequentato. Il luogo si raggiunge, con difficoltà divenute quasi alpinistiche a causa del terreno scosceso e franoso, lasciando a destra il sentiero di Mandres in corrispondenza di un solitario blocco cubico. In salita, spiccano ancora qua e là bolli di vernice vecchi di alcuni decenni, ma il sentiero vero e proprio sta sparendo, e salire alla Porta - alla base della quale un’angusta cornice visibilmente utilizzata dagli ungulati, consente una momentanea sosta – è diventato un problema. E’ un peccato, per varie ragioni: nel periodo d'oro dell’esplorazione dolomitica, la Porta compariva negli itinerari delle guide ampezzane, che vi portavano i clienti smaniosi di provare il brivido dell’avventura; la Porta è un luogo misterioso che accende la fantasia; la zona emana un fluido quasi magico, che l’abbandono contribuisce solo ad accentuare. Mentre vi salivamo, in un pomeriggio di novembre di qualche anno fa, avvistammo solo due camosci che, intimiditi dalla nostra comparsa, in un secondo si eclissarono fra gli alberi. Tempo addietro, avevamo lanciato l’idea di restaurare almeno in parte la via d’accesso: è rimasta un’intenzione, ma penso che una volta o l’altra un ripristino dovrà essere ideato. In caso contrario, considerato il degrado del pendio basale, credo che fra non molto la Porta, utilizzata dal Dio Silvano per accedere al suo reame, potrebbe non aprirsi più.

lunedì 28 luglio 2008

26 luglio 2008: la Punta Nera ha un nuovo libro di vetta

Il 26 luglio, in compagnia degli amici trevigiani Adriano, Paola, Mario e Mirco, ho collocato sulla Punta Nera, possente cima del gruppo del Sorapis (m. 2847), un libro di vetta, che rimpiazza il precedente, danneggiato dal maltempo e dalla superficialità di qualche salitore. La nostra ripetizione della via normale (trovata dalla guida Alessandro Lacedelli da Meleres nel 1876), che sale in vetta dalla Sella di Punta Nera con difficoltà di 1° grado su roccia gradevole ma sporca di detriti, è stata purtroppo frustrata dal maltempo. Scendendo, infatti, si è scatenato il diluvio, che comunque ci ha consentito di rientrare senza problemi alla base. Anche in quest'occasione la "Nera", sulla quale salivo per la settima volta, mi ha dato grande soddisfazione, e soprattutto la gioia di condividere l'itinerario con amici che ancora non lo conoscevano.