giovedì 23 luglio 2009

La montagna più bassa dello stivale?

Quest'anno credo di essere salito sulla cima meno alta d'Italia. Non ne posso essere assolutamente certo, poiché ignoro se esista una statistica delle italiche elevazioni montane, ma i 116 (centosedici) metri sul livello dell'Adriatico ai quali si erge il Colle dell'Eremita rappresentano di sicuro un curioso primato. Ovviamente non si tratta di una montagna stricto sensu, ma solo del vertice della splendida isola di San Domino, la più frequentata dell'arcipelago delle Tremiti, di fronte al promontorio garganico. Dal gregge di case del Villaggio San Domino, con una comoda camminata di tre quarti d'ora si raggiunge il culmine del Colle, prima per una strada lastricata e poco trafficata che solca la pineta di San Domino, e poi per una comoda sterrata, che ci è rimasta impressa essendo ornata sino in vetta di ... una lunga serie di lampioni degni di un marciapiede cittadino. L'elevazione del Colle, piatta e coperta di bassa macchia mediterranea, ospita i pochi muti resti della presunta Cappella dell'Eremita, unico relitto storico di San Domino, e schiude un'eccellente visione delle isole circostanti e della più lontana costa pugliese. Ricordo il Colle perché, a metà dello scorso giugno, giungemmo lassù con una certa soddisfazione nel tardo pomeriggio del nostro secondo giorno di vacanza a San Domino (come si sa, noi cerchiamo sempre le montagne anche in mezzo al mare ...), e la sensazione di stare sulla cima più bassa dello stivale fu per noi quasi straniante.

lunedì 20 luglio 2009

Ventisei anni fa, in vetta al Col Rosà

Domenica 23 ottobre 1983. Venerdì ho passato l'esame di diritto amministrativo, e sono tornato subito fra i monti per onorare come si deve il mio piccolo successo. Una settimana fa, per sfuggire alla tensione dell’esame imminente, ho salito da solo la ferrata “Strobel” della Punta Fiames: oggi voglio starmene in zona, per salire anche la “Bovero” sul Col Rosà. Da solo, per necessità ma anche perché qualche volta è pure meglio. Zaino leggero e tuta, in autobus sino a La Vera, poi a Fiames a piedi: entro nel bosco e poco dopo - per il comodo, ombroso sentiero di Val Fiorenza – esco in Posporcora. L’aria è quella limpida e frizzante di un bel mattino d'autunno: niente freddo, il silenzio è magico. Supero l’erto pendio che porta alla ferrata, e all'attacco incontro tre veneti, tra cui una bella ragazza. Scambio due parole, ho quasi fretta, la cima mi attende. Un tratto in libera, e solo sulla famosa traversata aggancio i moschettoni: assaporo la grande esposizione di quei cinque metri ben attrezzati, in breve sono fuori e salgo rapido fino ai mughi sotto la vetta. Passo le ghiaie, corro lungo il camino con gli scalini di guerra e sono in cima, mentre il campanile annuncia mezzogiorno. Non c’è nessuno: una brezza fresca, un sole slavato, un grosso gracchio che attende la colazione ed io. E’ la giornata in cui sto apprezzando di più l’isolamento di una cima, così battuta in alta stagione: immagazzino più che posso il panorama circostante, l’emozione di essere lassù, dominare la vetta e stare bene, in equilibrio e in pace con me e con la natura. Sul terrazzo di vetta, esposto sulla parete che guarda Fiames, riesco persino a farmi una dormitina. Non vorrei scendere, e rifletto sulla possibilità di stare quassù, vivendo di alberi, animali, sole e vento. D’improvviso, un refolo rabbioso mi risveglia da quella quiete: a casa mi aspetta il “Liebman”, il famigerato manuale di Procedura Civile...