giovedì 11 marzo 2010

Il vetturale, pioniere del turismo alpino

La “Guida della Valle di Ampezzo e de' suoi dintorni” di Bruno Apollonio, Giuseppe Lacedelli e Angelo Majoni, autentica miniera di informazioni storiche, culturali, turistiche e alpinistiche su Cortina pubblicata a Vienna in italiano e tedesco nel 1905 e ristampata due volte una trentina di anni fa, contiene un elenco dei “vetturali” disponibili all'epoca dell'uscita. Chi erano questi vetturali? Detti in ampezzano "nolejìs" o "veturai", secondo il vocabolario della lingua italiana sono i “conduttori di veicoli trainati da animali”. Il loro mestiere consisteva nel porre a disposizione dei turisti (anche di alcuni valligiani, per motivi di lavoro, più che di turismo), cavalli e veicoli per giungere a qualunque destinazione. Erano quindi i lavoratori che il progresso ha trasformato negli odierni tassisti, autisti da rimessa, autotrasportatori. L'elenco della “Guida” era seguito dalla “Tariffa delle vetture e dei cavalli a sella per i luoghi entro indicati, partendo da Cortina d'Ampezzo” e da alcune osservazioni, approvata ai sensi del § 52 del tariffario professionale il 23.7.1900 ad Innsbruck, come tariffa di massima applicabile dagli esercenti il trasporto di persone nel Distretto di Ampezzo, a firma del rappresentante dell'I.RR. Capitanato dott. Angelo Majoni. L'elenco comprende 28 nominativi, fra singoli e associati, che ci piace riportare, perché numerosi concittadini certamente vi ritroveranno un familiare. I vetturali di un secolo fa erano Giovanni Alverà Santabella, Ignazio Alverà, Fratelli Apollonio, Francesco Bernardi, Agostino Constantini, Cesare Constantini, Luigi Dadié, Riccardo de Bigontina, Giuseppe de Zanna di Basilio, Giuseppe de Zanna, Luigi de Zanna, Ernesto Gaspari, Fratelli Ghedina, Giusto Ghedina, Ilario Ghedina, Amadio Girardi, Giovanni Lorenzi, Ernesto Maioni (nonno di chi scrive), Massimiliano Manaigo, Romeo Manaigo, Antonio Menardi Müller, Angelo Menardi Müller, Giuseppe Menardi Cristallo, Giuseppe Menardi, Luigi Menardi, Raffaele Recafina, Giuseppe Verzi, Vincenzo Zanbelli. In questo elenco, possiamo notare in primo luogo alcuni proprietari di hotel e pensioni del tempo, soprattutto le più lontane dal centro di Cortina, che offrivano anche il servizio di noleggio per i clienti. Insieme con 23 guide, 4 portatori o guide per montagne basse e 5 aspiranti, i vetturali compongono quindi una squadra di oltre sessanta professionisti locali, che nel periodo aureo del turismo e fino alla Grande Guerra contribuirono a promuovere e sviluppare la conoscenza delle Dolomiti, non solo intorno a Cortina. I vetturali, ognuno dei quali ovviamente disponeva almeno di un cavallo e di una stalla nella quale ricoverarlo, potevano essere ingaggiati per ben ottanta gite diverse. Dalla breve, ripida salita che portava all'Hotel Faloria a Bigontina di Sopra, utile per i clienti che scendevano in quel rinomato albergo, che durava mezz'ora e costava 1,20 Corone se effettuata con cavalli a sella, 2 o 4 se con veicoli a uno o due cavalli, si giungeva alla discesa (solo andata, cento chilometri) a Vittorio, la città formata dall'unione dei borghi di Ceneda e Serravalle che dopo il 1918 si chiamerà Vittorio Veneto. Questa possibilità, effettuabile ovviamente soltanto con veicoli, richiedeva un giorno e mezzo di viaggio e costava da 55 a 100 Corone, in base al veicolo. Nell'ampio ventaglio di possibilità, possiamo distinguere i viaggi veri e propri dalle escursioni in zone alpestri, per le quali ovviamente si proponevano in appoggio ai conducenti anche le guide e i portatori. Per quanto riguarda gli spostamenti fuori dei confini d'Ampezzo, i vetturali erano abilitati a condurre clienti ad Andraz, Auronzo, Belluno, Borca, Caprile, Fiames, Carbonin, Cimabanche, al confine verso sud con l'Italia, Dobbiaco, Falzarego, Landro, Longarone, Misurina, Ospitale d'Ampezzo, Perarolo, Pieve di Livinallongo, Pieve, San Candido, San Cassiano, San Vito, Santo Stefano, Tai, Tre Croci, Valparola, Venas, Villabassa. se un qualsiasi viaggiatore avesse chiesto di raggiungere, ad esempio, Forni di Sopra o Selva Bellunese, sarebbe stato sicuramente accontentato. Rivestiva notevole importanza soprattutto il collegamento con Dobbiaco, assicurato comunque anche da regolari vetture, perché consentiva di raccogliere i viaggiatori provenienti da ogni parte d'Europa, che scendevano alla stazione ferroviaria aperta il 30.11. 1871, per soggiornare in Ampezzo. Tante considerazioni potremmo fare in merito all'attività dei vetturali, dei quali comunque si hanno poche notizie, visto che la loro fu un'attività ordinaria, oscura e poco documentata, priva certamente di imprese paragonabili a quelle dei pionieri dell'alpinismo. Rileviamo soltanto che nella prima edizione (1929) della più nota guida turistico alpinistica della conca ampezzana, quella di Federico Terschak, che ebbe numerose edizioni fino al 1970, resiste la categoria delle guide alpine (15 professionisti e 2 portatori), ma la categoria dei vetturali è scomparsa, anche se continueranno a svolgere privatamente il loro mestiere anche in seguito. Ampezzo è italiana da un decennio, il progresso è andato avanti velocemente, le prime automobili a benzina sono comparse nel 1903 e “Cortina, nodo di quattro strade importanti, strade le quali, a loro volta, hanno numerose diramazioni, si presta in modo eccezionale quale centro di escursioni piacevolissime in automobile. ...” Gli itinerari principali consigliati sono tre, sempre interessantissimi per conoscere i più bei panorami dolomitici: Cortina-Andraz-Caprile-Alleghe, Tre Croci-Misurina, Lago di Braies. Ci sono quattro uffici di autonoleggi e tre sono gli uffici viaggi. Detto questo, preferiamo lasciare sfumare nella memoria la storia dei vetturali tra Otto e Novecento. Furono personaggi tipici di un'epoca romantica e avvolta nell'oblio, figure costitutive del “concorso dei forestieri”, che svolsero un lavoro faticoso e di sacrificio, anche se abbastanza remunerativo, e consentirono a Cortina di affermarsi come una delle stazioni turistiche più conosciute del Tirolo.

Vagabondando intorno alla Piccola Croda Rossa

Dal 30 settembre 1989 ad oggi, ho calcato una decina di volte la vetta della Piccola Croda Rossa, montagna non difficile, che fronteggia ad O l’altera sorella maggiore e si apre con pregiati scorci verso Fanes, Sennes e Braies. In tutte le uscite ho sempre seguito lo stesso percorso: dal laghetto quasi prosciugato di Remeda Rossa, per evitare il lungo giro verso Forcella Cocodain, si può salire direttamente per dossi erbosi e sassosi fino in cresta, uscendo sulla cupola della Remeda Rossa. In discesa invece, i può seguire la sfasciata, non propriamente agevole ma interessante dorsale delle Jeralbes, lungo la quale si arriva alla Crosc del Grisc, poco sotto il laghetto accanto al quale si è passati in salita. Per visitare la cima ci sono anche altre due opportunità, utilizzabili in entrambi i sensi di marcia, ma solo da chi ha l'occhio attento e le suole buone. La prima segue il canale incavato tra la Remeda Rossa e la Croda, che s’imbocca sempre dal lago. Il canale, noto ai cacciatori, non oppone grandi problemi, e da ultimo lo si sale sul lato sinistro orografico fino alla Sella della Remeda” (informazioni di Mara e Ivano). La seconda, più nota e percorsa spesso in discesa perché rapida, si stacca dalla cresta delle Jeralbes e mediante un franoso canale pieno di tracce d’ungulati, consente di giungere in Val Montejela donde, in breve, all'ex Bivacco Dall’Oglio (informazioni di Stefano). Le due possibilità sono note a pochi, e permettono di ravvivare un itinerario pregevole, ma tutto sommato palloso, data la enorme distesa di pietrame e detriti che si deve rimontare per giungere in vetta. Oltretutto, da qualsiasi parte si affrontino, sui declivi della Piccola è usuale sorprendere qualche camoscio o stambecco, che lassù hanno uno dei loro habitat preferiti e si possono (potevano) fotografare abbastanza agevolmente. Per farlo, però, occorrono prontezza, silenzio e molto rispetto!

martedì 9 marzo 2010

Il Comitato per il Vocabolario si sta assottigliando ...

Nell'arco di quest'ultimo mese sono venuti a mancare due regolieri, che hanno portato molto allo studio della parlata ampezzana: Ivo Majoni e Silvio Menardi. Ivo, classe 1917, per anni impiegato presso i Musei delle Regole, è stato uno dei volontari impegnati nella compilazione del Vocabolario Italiano-Ampezzano, uscito nell'autunno 1997 grazie al fondamentale contributo della Cassa Rurale ed Artigiana. Silvio, classe 1927, direttore della SCIA e poi funzionario della Cassa Rurale, partecipò a entrambi i comitati, quello che redasse il Vocabolario Ampezzano e quello che undici anni dopo portò a termine il Vocabolario Talian-Anpezan, del quale fu Responsabile delegato. Nel ritratto in seconda pagina di quest'ultimo, ponderoso volume, siamo tutti in posa nelle sale del Museo Etnografico. Dico “siamo”, perché ebbi anch'io l'onore di partecipare, nell'ultimo quinquennio, a quel comitato, continuando poi a lavorare con il terzo gruppo, che compilò la nuova grammatica, uscita nel 2003. A me, ma penso anche agli altri, tornano spesso davanti agli occhi alcuni flash delle numerose serate passate in Ciasa de ra Regoles a esaminare le schede dattiloscritte del vocabolario. E allora rivedo tutta la squadra unita: Liota, Ivo, Tesele, Angelo, Silvio, Rosa, Luciano, Egidio, Elisabetta, Rita, il sottoscritto. Ero il “bambino” del gruppo, tra me e Liota c'erano cinquant'anni di differenza, eppure si stava bene insieme, si lavorava di buona lena, talvolta discutendo sanguignamente, ma facendo anche tante risate, e in conclusione pare che sia uscito un buon lavoro. Mi auguro che i tre volumi sull'idioma ampezzano realizzati in in quarto di secolo dai comitati nominati dalle Regole, compaiano ancora nelle librerie di regolieri e non, e vengano consultati e usati. Il materiale che i comitati hanno recuperato, discusso e fissato per iscritto in anni di lavoro (per il Vocabolario Ampezzano ce ne volle una dozzina, “solo” dieci per quello Italiano-Ampezzano, quattro per la Grammatica) resterà consolidato, vorrei dire, nei secoli. Forse in futuro nessuno in Ampezzo metterà più mano a lavori di tale portata , se non per aggiornare quanto già fatto. Per questo, penso che anche a Ivo e a Silvio, che per anni - ogni lunedì sera, anche se pioveva o tirava vento – vennero “a Vocabolario” e lavorarono con passione al recupero di un universo di sapere che giorno dopo giorno rischia d'impoverirsi e sparire, si possa dire il meritato grazie.

lunedì 8 marzo 2010

A Luciano

Il 3 dicembre 2006 scompariva all'improvviso Luciano Majoni, “Lux” per coloro che lo conoscevano. Anche con lui, come con altri della mia generazione, ho condiviso diverse avventure in montagna, soprattutto nel periodo 1984-87 ma anche negli anni Novanta e Duemila, e con tutte queste mi fa piacere ricordarlo. Insieme salimmo, fra l’altro, lo spigolo Innerkofler del Monte Paterno, la Via della rampa del Piz Ciavazes, la più facile delle vie di palestra dei Crepe d’Oucera, che per me fu più del massimo che potevo fare. Nell'87, grazie a“Lux” conobbi la Rocheta de Cianpolongo, dove sono tornato numerose volte; in compagnia facemmo la normale del Sasso di Bosconero, in una imperdibile giornata di novembre; il giro delle tre più alte forcelle delle Marmarole Centrali; la Vetta d’Italia, durante una gita organizzata dal CAI; sulle soglie dell’inverno andammo a scoprire i segni confinari fra Cortina ed Auronzo sulla Torre NE di Popena; ci trovammo da lui a guardare fotografie e poi in tutte le Assemblee della Sezione del CAI dell’ultimo decennio. Ho condiviso fraternamente il dolore e lo sgomento di familiari, parenti e compagni, e sempre più considero quanti amici di montagna se ne sono andati. Tutti noi continueremo a salire sulle nostre crode, finché le forze lo concederanno. Sulle cime dove abbiamo trascorso insieme luminose giornate, avremo di certo un pensiero per tutti coloro che abbiamo conosciuto, e fra loro ricorderemo anche “Lux”.

Bovero, da solo. Appunti di una domenica d'autunno

23 ottobre 1983, domenica. Venerdì ho superato, bene, l’esame di Diritto Amministrativo e sono tornato subito a casa per celebrare meritatamente l’avvenimento. Una settimana fa, per fugare il pensiero dell’esame imminente, sono stato da solo sull’arcinota Ferrata Strobel della Punta Fiames: oggi voglio tornare in zona per la “Bovero” del Col Rosà. Rigorosamente da solo, per necessità ma anche perché talvolta è pure meglio. Zaino leggero e tuta, in autobus sino a La Vera, a piedi a Fiames: m’inoltro nel bosco di Pian de ra Spines e in breve - per il comodo, un po’ tenebroso sentiero di Val Fiorenza - sono in Posporcora. L’aria è quella limpidissima e frizzante di un mattino d’autunno: non fa freddo e il silenzio è quasi assordante. Salgo l’erta che conduce alle prime funi metalliche, e ai piedi delle rocce trovo tre vicentini, tra cui una ragazza. Scambio con loro due parole, ma ho quasi premura, la cima mi attende. Un bel tratto in libera, e soltanto sulla nota “traversata” aggancio il moschettone: mi gusto la massima esposizione di quei 5 metri ben attrezzati, in breve sono fuori e continuo quasi col fiatone fino al ballatoio sotto la cima. Traverso le ghiaie, supero gli ultimi scalini metallici e sono in vetta, mentre le campane suonano mezzodì. Non c’è anima viva: una leggera brezza fresca, un sole smunto, un gracchio che già pregusta la colazione e io. E’ la giornata in cui forse sto apprezzando di più il silenzio di una delle mie cime: cerco d’immagazzinare più che posso il panorama, l’emozione di essere lassù, dominare quella vetta e stare bene, in equilibrio e in armonia con me stesso e la natura. Sulle tiepide pietre sommitali, esposte sul ciglio della parete che guarda Fiames, riesco persino a schiacciare un pisolino. Non vorrei più scendere, ed almanacco sull’idea balzana di starmene lassù da anacoreta, vivendo di alberi, di animali, di sole e di vento. All’improvviso, un refolo più crudo mi risveglia da quella quiete: a casa mi attende il primo volume del “Liebman”, il manuale di Procedura Civile!

domenica 7 marzo 2010

Inverno sulla Nord

Sulle Dolomiti ampezzane esistono numerose vie aperte dai pionieri, diventate poi classiche e frequentate nell’epoca d’oro, che hanno dovuto attendere decenni per essere affrontate d’inverno. Uno dei casi più indicativi è quello della “Via Müller” per parete nord del Sorapìs. Aperta il 15 settembre 1892 dai germanici Friedrich Müller e Sartorius von Waltershausen con le guide ampezzane Antonio Dimai, Zaccaria Pompanin e Arcangelo Dibona, la via (settecento metri di III, parete fredda e ombrosa, spesso neve e ghiaccio) fu intrapresa nella stagione invernale soltanto 83 anni dopo la prima. Le guide Franz Dallago, Paolo Michielli e Guido Salton impiegarono tre giorni _ dal 7 al 9 febbraio 1975 – per venire a capo del gelido e poco attraente versante, in condizioni senza ubbio molto impegnative. Nell’occasione, anzi, i tre sperimentarono anche un particolare tipo di muffole riscaldate a benzina, per premunirsi dai congelamenti alle mani. Oggi la Via Müller è percorsa abbastanza di rado: ho notizia di una guida ampezzana che se l’é sentita proporre da un cliente e vi è salita, con soddisfazione, qualche anno fa. Essa, come tutte le arrampicate sul Sorapis, richiede già sufficiente impegno nella stagione estiva: anche se molte classiche in zona vantano già la loro bella ripetizione invernale, figurarsi quanti avranno voglia di andarsi ad impastoiare su quel versante nella stagione più cruda dell’anno!