Lasciare la propria firma in vetta ai monti che si salgono, è un'usanza antica. Nell’800, i pionieri dell’alpinismo lasciavano i loro biglietti da visita in bottiglie di vetro sotto i sassi delle cime; più tardi, i Club Alpini iniziarono a collocare sulle vette scatole di metallo, con “libri di vetta” che duravano anni. Oggi molte scatole sono ancora metalliche, ma sempre più di frequente se ne trovano di vetro o di plastica, con eleganti quaderni rilegati o normali agende scadute, talvolta colme delle futilità che lascia chi non comprende il valore di un nome, una data, un pensiero per chi sale le montagne. Il nostro Becco di Mezzodì vantava un libro di vetta già nel 1901; quello del Piz Popena, rimpiazzato nel 1981, dopo settant'anni era riempito solo a metà; sulla Torre Grande d'Averau, fra il 1927 e il 1948, ne furono lasciati tre, mentre sulla Punta Fiames dal 1926 al 1958 gli scalatori ne trovarono due; un’agenda è stata posta sulla Punta Nera nel settembre 2000, e dalla primavera 2007 anche sulla piccola Pala Perosego c'è una bella scatola, con un quaderno nuovo. Tempo fa, alcuni alpinisti notarono che qualche contenitore sulle cime ampezzane era stato rovinato, spesso addirittura smembrato da temporali, nevicate, fulmini. Si profilava quindi la necessità di trovare una soluzione a questa situazione, in modo che i libretti non ammuffissero per le infiltrazioni d’acqua, le scatole non fossero più bersagliate da scariche elettriche, per garantire che le fonti di storia alpinistica che giacciono sulle cime abbiano lunga vita. Franco Gaspari, guida alpina, propose di adottare un cilindro artigianale di plastica con un tappo a vite: impermeabile, inalterabile dai fulmini e dall’umidità, il cilindro è adatto ad accogliere un quaderno e qualche matita. Gaspari ha mostrato il prototipo al CAI di Cortina, che l’ha subito apprezzato. Su alcune vette ampezzane si possno già trovare sotto l’ometto i nuovi cilindri con i libretti che venivano spesso danneggiati da fulmini e intemperie. Resta sempre aperta la questione di chi oltraggia intenzionalmente i libri di vetta, forse perché non crede utile che sui nostri monti si trovino quaderni, in cui gli alpinisti appongono con piacere la propria firma e qualche pensiero, contribuendo così a stendere una pagina originale della storia dolomitica.
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