martedì 9 febbraio 2010

E' morto Benito Saviane, alpinista alpagoto

Ieri 8 febbraio, nella sua casa a Codenzano di Chies d'Alpago, è morto un grande alpinista bellunese, Benito Saviane. Classe 1940, Saviane ha speso la vita per la montagna e la promozione del suo Alpago. Franco Miotto, che con lui ha scritto, tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, alcune pagine alpinistiche d'oro, sulle montagne bellunesi, ha detto di Benito «È stato il compagno di cordata più forte, quadrato, maturo, con cui ero più che sicuro». Dell'alpinista alpagoto restano le grandi scalate, la Sottosezione CAI della conca divenuta da poco Sezione autonoma, il suo alpinismo estremo d'altri tempi, su pareti nascoste, selvagge e repulsive dove ben pochi dopo di lui, Miotto e Corona, si sono avventurati.

lunedì 8 febbraio 2010

Idee per il futuro.

Il passaggio ai piedi della parete E del Taburlo, che collega le Ruoibes de Fora con Progoito; la cengia che percorre le pendici di Ra Sciares sulla Croda Rossa, unendo i circhi che fanno capo a Forcella Colfiedo; il tracciato militare sul versante sud di Ra Zestes sotto la Tofana III; l’attraversamento - battuto dagli ungulati e noto anche ai guardaparco - dalla via normale del Col Rosà al sentiero di Posporcora; la cengia sull’avancorpo delle Lainores che, stando sotto roccia, collega in modo originale la normale della cima col Cason d’Antruiles. Sono soltanto alcune possibilità, alcune delle quali restano per ora nel carnet delle cose da fare, per realizzare escursioni abbastanza impegnative sui monti ampezzani, unendo peculiarità naturalistiche, storiche ed alpinistiche. A loro potrei aggiungere la cengia naturale e la Cengia “Polin” sulla parete SW della Tofana de Rozes; un paio di percorsi sugli Orte de Tofana; gli accessi diretti dalla Val di Fanes al Col Rosà e al Valon Bianco (con successiva discesa in Val Travenanzes per altro percorso militare); la cengia descritta su “Le Alpi Venete” che collega i bivacchi Slataper e Comici traversando dietro le Tre Sorelle. Mi fermo, giacché capisco che per conoscere profondamente le crode ampezzane anche a me difettano ancora alcuni tasselli. D’altronde, mi posso ritenere più che fortunato, per avere raggiunto tante altre mete, sovente scomode e aspre, ma originali: la citata cengia sull’avancorpo delle Lainores, la Ponta del Pin, la Pala de ra Fedes, il Taburlo, vari sentieri sui Zuoghe e Ra Ciadenes; il Pezovico, quello che soprannominai "l'accesso dei bosniaci"v a Son Pouses ecc.. Nel mio “libro dei sogni” ci sono ovviamente molte pagine bianche: con le idee che mi vengono di anno in anno, non so se riuscirò a riempirle e leggerle tutte. Se lo faranno altri, gli appunti per l’auspicato aggiornamento della guida delle “Dolomiti Orientali”, al quale tanti appassionati sarebbero in grado di dare una mano, potranno essere redatti ugualmente.

Venanzio Zardini, detto "de ra morte".

Tra le guide alpine ampezzane che praticarono l’attività ai tempi dei pionieri, compare anche Venanzio Zardini, curiosamente soprannominato "de ra mòrte". Nato nel 1842 e morto a settantaquattro anni nel 1916, di professione effettiva fu calzolaio. Nelle carte, il suo nome non risulta mai collegato ad ascensioni, e una delle rare sue immagini “in attività” lo fissò mentre accompagnava su una portantina, con altre guide ampezzane, una turista invalida al Sachsendank Hütte, il rifugio inaugurato l’11 agosto 1883 sul Nuvolau. Del personaggio non ho dati che rilevino per la storia dell’alpinismo. Fece il portatore e non s’impegnò mai in grandi ascensioni, limitandosi a condurre i clienti in escursioni di medio impegno oppure a varcare forcelle e passi dove oggi si passa comodamente in automobile, ma che allora erano ritenuti zone misteriose. E’ un vero peccato saperne poco: da tempo sostengo che anche le guide “minori”, i portatori e i vetturali hanno contribuito alla storia dell’alpinismo su tutto l'arco alpino. Nel caso di Venanzio Zardini, è un enigma anche il curioso, inquietante soprannome assegnatogli, tramandato agli eredi. Nelle mie ricerche sulle guide della belle époque dell’alpinismo ampezzano che, non avendo lasciato documentazione legata alla conquista di cime o a prime salite su di esse, sono state relegate nell’oblio, comunque, c'è anche il Nostro. Per ora prendo atto che anche Venanzio, per un certo periodo del XIX secolo, contribuì con il suo lavoro a far conoscere le montagne del circondario d’Ampezzo e di conseguenza allo sviluppo del concorso dei forestieri, che si andava affermando anche nella nostra vallata.

sabato 6 febbraio 2010

Passione

La passione che ho maturato per la montagna, espressasi nei decenni in escursioni ed
ascensioni di varia difficoltà, ed oggi rientrata nei binari di un alpinismo tranquillo, spesso
di esplorazione anche fuori dai confini dolomitici e comunque teso preferibilmente verso
uoghi appartati e il più possibile privi della banalizzazione che purtroppo colpisce tanta
parte della montagna, ha oltre quarant'anni. Ne devo il merito principale ai miei genitori,
con i quali respirai l'aria sottile dell'altezza fin da piccolo, sperimentando già a nove anni il
brivido delle vie ferrate e la gioia del dormire in rifugio; e poi agli amici dell'adolescenza,
con i quali improvvisammo esperimenti alpinistici sorretti da tanto entusiasmo e un po' di
ncoscienza; e poi ancora alla compagnia dei trent'anni, con la quale battemmo tante vette
dolomitiche, ma anche nevose e ghiacciate sulle Alpi Aurine, Ortles, Cevedale e nella vicina
Austria. E oggi continuo la ricerca, condividendo con mia moglie la riscoperta di molti
tinerari già percorsi e l'avventura su nuove cime, anche vicine a casa, ma che ancora non
conoscevo perché un tempo “erano troppo brevi o troppo facili da raggiungere”. Un
percorso più che normale, animato sempre dalla passione, la voglia di conoscere, stare
bene su una cima, in mezzo ad un bosco, steso su un prato, appeso a qualche roccia. Un
percorso di conoscenza continua che non è finito né spero finirà, ancora per lungo tempo.

martedì 2 febbraio 2010

Macchine fotografiche

In un fortuito incontro con Carletto, compagno di avventure di montagna nei primi anni '70 che aveva letto il mio “Appunto di montagna” (sul Notiziario di Cortina) relativo alla salita del Col Rosà con il gatto nello zaino, della quale anche lui si ricordava bene, abbiamo constatato una cosa. Delle nostre scorribande (arrampicate sul Becco di Mezzodì, sulla Punta Fiames, sulla Torre Falzarego, sulle Cinque Torri; ferrate della Punta Fiames, Col Rosà, Sentiero Astaldi; escursioni sul Taburlo; esperimenti di palestra sul Sas Peron, a Colfiere, qualhe bella gita) abbiamo pochissime fotografie, magari fatte da altri. Quasi logico, perché a quei tempi macchine fotografiche non ne avevamo certamente (la prima che documentò buona parte delle domeniche in montagna l'acquistò mio fratello, mi sembra nell'80, mentre io lo seguii sette-otto anni più tardi). Peccato però, perché riandando con la memoria a quegli anni (“... oggi nulla è più come allora ...”, ha chiosato mestamente Carlo) abbiamo pochissime testimonianze iconografiche di ciò che facemmo in mezzo ai monti. Ho ribattuto che oggi, durante una domenica sulle crode, specie se in una zona o su una cima nuova, scatto non meno di 40 fotografie (“del resto, con la digitale...”); se il digitale dura negli anni come il cartaceo, fra un po' avrò migliaia di scatti che m'ingombrano il PC o qualche CD o chissà quale altra diavoleria. Sto documentando bene i miei cinquant'anni, lo feci molto meno nei beati venti, delle pazzie che combinammo con corde e moschettoni. Comunque, in questo blog inserisco un'immagine che mi ha regalato carletto, in cui compaio con lui e con Sandro in cima alla Punta Fiames, salita per la ferrata sotto una bufera di neve Lunedì di Pasqua 1974.

venerdì 22 gennaio 2010

Una storia di 134 anni fa: come Sandro da Meleres conquistò la Punta Nera

Un giorno d’estate del 1876, Alessandro Lacedelli detto Sandro da Melères, guida alpina e pioniere dolomitico che ha partecipato a numerose conquiste e ad altrettante parteciperà fino alla fine del secolo, sale da solo la Punta Nera, che domina i Tondi di Faloria e si vede fin dal centro di Cortina. Accanito cacciatore, Sandro è partito a piedi dal paese, ha rimontato le pendici del Mondeciasadió (odierno Monte Faloria) e scavalcato le Crepedeles (odierni Tondi di Faloria). Da Forcella Faloria scorge col binocolo un branco di camosci che corre lungo l'enorme vallone ghiaioso che scende dalla Punta Nera in Val Orita, e decide di seguirli. Alessandro aveva sicuramente lo schioppo con sè, e un pezzo di carne gli avrebbe fatto comodo. A casa lo aspettavano moglie e figli, e un bel capo poteva senz'altro arricchire la dieta familiare, basata sui prodotti dei campi, dei pascoli e del bosco. Risalì le ghiaie fin quasi alla Sella, terreno fino allora alpinisticamente vergine. Appostatosi dietro un masso, mirò ad un maschio che fuggiva e, scorgendo sangue sulle rocce, affrontò la cresta della Punta Nera. Per essa, su roccia friabile, giunse in breve sulla cima, da cui poté godere per primo di un incomparabile panorama sulla sua Cortina. Fu la prima salita documentata della Punta Nera, montagna che domina i Tondi di Faloria e fino al 1939, con la costruzione della Funivia “Principe di Piemonte” richiedeva oltre cinque ore di salita. Oggi da Faloria ne bastano un paio.

Qualche considerazione sulla toponomastica ampezzana, in ampezzano. E' una sfida ai lettori!

L é beleche alcuante anes che ei scomenzà a lourà par curà su i gnomes dei luoghe de ra val de Anpezo che i vien fora dal turismo e dal ‘sì in croda. L é duto gnomes che i no n é stade inventade ‘sà anes anorum, e i é stade betude a crodes, forzeles, refuje e outre site da canche ra Dolomites es é stades conosciudes dai forestiere. Fin ancuoi in ei sturtà su pi de zento e vinte, a scomenzà da chi alcuante betude da Paul Grohmann, el “primo salitor delle montanie d’Ampezzo” cemodo che el l aea bateà ra so prima guida Anjelo Dimai Deo, fin al dì de ancuoi. Alcuante de ste gnomes i é leade a ra tèra, alcuante outre a ra ‘sente che inze i anes r à abù algo a che far coi site o co ra storia de ra nostra val; de outre ancora, ancuoi come ancuoi, no n é fazile vienì a saé parceche i à un gnon pitosc che un outro. Calche gnon de luó el no n ea conosciù in Anpezo ignante ra Guera (par esenpio: Becco Muraglia, Castelletto, Col Pistone, Testaccio, dute dade dai melitare); alcuante outre i é stade inventade inze i ultime anes (par esenpio, Guglia Raffaele l é el gnon de un spizon de ra Croda da Lago, betù del 1996); alcuante outre ancora, soralduto su ra pistes e sui inpiante da schie, l é gnomes anpezane “talianisade” par i fei capì meo ai forestiere (Cima Prati, Rio Gere, Vitelli); epò in é de chi che i s à pardù inze ra storia (par esenpio: Croda di Pezzo, Libro Aperto, Wienertürme) Dute ste gnomes insieme i fesc na bela fila, e i no n é stade gnanche studiade dute da ci che s à inderetà de toponomastica anpezana inze chiste ultime anes (me sovien ignante duto Carlo Battisti, e pò Illuminato de Zanna, Camillo Berti, Fiorenzo Filippi, e dinultima Lorenza Russo). Co l é ra fin, ei vedù che laoro da fei in sarae ancora tropo, e credo che a vardà drio meo soutarà sempre fora algo de noo e de intressante par chi poche che i s indura a proà a capì i gnomes dei luoghe anpezane.

Briciole (importanti) di storia di Cortina: i primi rifugi alpini

Mi è stata chiesta una breve nota, ad uso turistico, in merito ai rifugi alpini costruiti sul territorio di Cortina fino all'inizio del XX secolo. Senza approfondire in questa sede la ricerca storica, in parte già portata avanti da alcune pubblicazioni, la storia dei primi rifugi ampezzani si può così riassumere:
1) Ospizio Falzarego, situato lungo la strada per il Passo omonimo. Costruito nel 1868 dal Comune di Cortina come punto d’appoggio per viandanti, venne distrutto nel 1915 e non fu più ricostruito;
2) Sachsendankhütte (Rifugio del ringraziamento del Sassone), in vetta al monte Nuvolau. Inaugurato l’11 agosto 1883, di proprietà della Sezione Ampezzo del Club Alpino Tedesco-Austriaco; venne pesantemente danneggiato nel 1915, fu ricostruito nel 1930 e affidato alla Sezione CAI Cortina, che lo gestisce tuttora;
3) Tofanahütte (Rifugio Tofana) in Forcella Fontananegra, Tofane. Inaugurato il 16 agosto 1886, di proprietà della Sezione Ampezzo del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Il 5 settembre 1921 fu inaugurato nei pressi il Rifugio Generale Antonio Cantore, ricavato da una caserma italiana e affidato alla Sezione CAI Cortina. Negli anni Settanta del '900, il Cantore fu abbandonato e sostituito dal Rifugio Camillo Giussani, anch'esso affidato al CAI Cortina, che lo gestisce tuttora. Nel 1994 il Rifugio Tofana è stato attrezzato come bivacco invernale;
4) Pfalzgauhütte (Rifugio Pfalzgau) al Lago del Sorapis. Inaugurato nel 1891, di proprietà della Sektion Pfalzgau del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Venne distrutto da una valanga e ricostruito, nel 1924 passò come preda di guerra alla Sezione CAI Venezia e fu ribattezzato Rifugio Cesare Luigi Luzzatti. Distrutto nel 1959 da un incendio, fu ricostruito e inaugurato nel 1966 come Rifugio Alfonso Vandelli, sempre affidato alla Sezione CAI Venezia;
5) Barbariahütte (Riugio Barbaria) al Lago di Federa. Costruito nel 1901 dalla guida alpina Giovanni Barbaria (1850-1939), venduto nel 1905 alla Sektion Reichenberg del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Nel 1919 passò come Rifugio Croda da Lago alla Sezione CAI Cortina, che lo gestisce tuttora. Dal 1947 fu intitolato alla memoria di Gianni Palmieri, ed è stato ribattezzato Rifugio Croda da Lago – Gianni Palmieri;
6) Rifugio (già Albergo) Cinque Torri alle Torri d’Averau. Costruito nel 1904 da privati (Colli e i fratelli Manaigo), parzialmente danneggiato durante la Grande Guerra. Gestito da varie ditte fino al 1937, quando fu rilevato dalla famiglia Alberti Lelo, che lo gestisce tuttora;
7) Egerhütte (Riugio Eger) alla Croda del Beco. Inaugurato nel 1907, di proprietà della Sektion Eger del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Parzialmente danneggiato durante la Grande Guerra, fu riaperto nel 1926 come Rifugio Biella e affidato alla Sezione CAI Biella. Nel 1947 passò alla Sezione CAI Treviso, che lo gestisce tuttora;
8) (Viktor Wolf) Von Glanvellhütte in Val Travenanzes. Costruito nel 1907 dalla Sektion Dresden del Club Alpino Tedesco-Austriaco e dedicato alla memoria di un pioniere dell'alpinismo dolomitico, fu distrutto l’1 agosto 1915 e non venne più ricostruito.

martedì 19 gennaio 2010

Dalla “Guida della Valle di Ampezzo e de' suoi dintorni”, una passeggiata ai Tondi di Faloria

La “Guida della Valle di Ampezzo e de' suoi dintorni”, miniera di informazioni storiche e culturali su Cortina uscita a Vienna nel 1905, fra le escursioni ne descrive una, la numero 17, che tocca una zona oggi destinata a vocazione eminentemente sciistica, i Tondi di Faloria: “Cortina-Alverà-Pian della Bigontina-Faloria-Tondi di Faloria-Hotel Faloria-Cortina 5½ ore di cammino”. Riporto il testo, probabilmente fra i primi a reclamizzare il luogo che, come detto, era già noto ai turisti. “Faloria è dopo Belvedere la montagna più comoda da salire e con essa rivaleggia pure per i magnifici punti di vista che offre, Si eleva a mezzodì del passo delle Tre Croci ed è costituita dall'erboso Mon de ciasa dió (Monte di casa dio) e dal Crepedel. Vi si ascende per la strada di Alverà. Poco prima delle Tre Croci si stacca a destra un sentiero indicato da una tabella, il quale porta al pian della Bigontina, poi alla cima, attraversando verso sud boschi e pascoli. La vista che vi si gode abbraccia tutta la regione ampezzana, la Rocchetta, il Pelmo, la Civetta con parte della Marmolata; a nord ovest le cime di Enneberg e a nord est i monti di Sesto, l'Elfer e lo Zwölfer. Un panorama ancor migliore lo si ha ascendendo ai così detti Tondi di Faloria: il tratto che bisogna fare è breve e la piccola fatica ne è certo ben ricompensata. Per discender presto nella valle si possono prendere due sentieri a zig zag: uno sul pendio del monte che prospetta Cortina mette all'Hotel Faloria; l'altro, sul versante meridionale, per la val di Faloria, nella direzione del villaggio di Acquabona, si congiunge colla strada di Mondeserto che conduce a Coianna, da qui collo stradone si prosegue per Cortina. Chi vuol esercitare i suoi garretti può dare la scalata al Crepedel partendo dall'Hotel Faloria e seguendo i suddescritti sentieri.” Con qualche aggiustamento, i suggerimenti del 1905 possono essere utilizzati ancora oggi. La questione mi ha colpito poiché pensavo che quello dei "Tondi di Faloria" fosse un oronimo moderno, creato magari sul calco di quello che connota i vicini "Tondi di Sorapis", mentre invece il nome pare sia stato conosciuto già oltre un secolo fa.

martedì 12 gennaio 2010

In ricordo di Dino de Bepin, regoliere, cacciatore, amante della Valle d'Ampezzo

Leggendo la scheda dell'anagrafe regoliera che riguarda l'amico Dino Verzi, scomparso a 78 anni a fine dicembre, mi viene doveroso dirgli grazie. Un grazie, tardivo e commosso, a Dino per quanto ha fatto a favore delle Regole ampezzane che, dopo la famiglia, la caccia e il canto nel Coro Cortina, sono state uno dei fulcri della sua vita. Alle Regole Dino ha dedicato con passione almeno venti anni: fu revisore dei conti; Deputato e vice dell’allora Presidente Ugo Pompanin; fece parte della Rappresentanza della Regola d’Ambrizzola, e fu Marigo di quella di Rumerlo. Oltre a questo, Dino fece parte del Comitato del notiziario regoliero fin dall'inizio, collaborando con numerosi articoli, e per quindici anni fu membro del Centro Culturale delle Regole. Penso che più di così, a un regoliere d’antico ceppo ampezzano ma per vicende familiari nato a Rovereto, non si potesse chiedere. Per il notiziario "Ciasa de ra Regoles", Dino è stato un amico, un valido collaboratore, una fonte continua di notizie e aneddoti, soprattutto sull'arte venatoria e sull’ambiente, fino a poco prima della scomparsa. Ci sarebbe tanto ancora da dire di Dino regoliere, cacciatore, amante del bel canto: personalmente sottolineo quindici anni di riunioni per comporre insieme un centinaio di numeri del foglio informativo, e poi numerosi raduni in compagnia, fra i quali quello nel Brite de Larieto, prima che l’incendio ne causasse la ricostruzione, e altre occasioni, anche brevi, d’incontro e scambio di battute, in cui l’apparente burbera maschera di Dino si scioglieva spesso nel sorriso, e che ci hanno lasciato tanti ricordi. Un grande grazie a Dino per il contributo che ha portato alla vita di Cortina degli ultimi trent'anni, e l’augurio che possa camminare con gioia lungo i sentieri che solcano i pascoli del cielo.