Avrò salito la Punta Fiames almeno 70 volte, circa 50 per la ferrata Albino Michielli Strobel e una ventina per la via Dimai della parete sud-est. Alla fine degli anni ’80, giunsi al punto di battezzare la cima “ra mè Ponta Fiames” e citarla sempre e dovunque come una montagna amica e confidente. Fino all’8 maggio 1988. Quel giorno, infatti, stavo salendo con un amico la via Dimai. Giunti alla penultima lunghezza (la più delicata, caratterizzata da una parete con piccoli appigli, che permette di uscire fra i tetti visibili anche dal basso), mi stavo impegnando sul passaggio più duro quando fui impaurito dagli schiamazzi provenienti da una cordata che sopra di noi stava smuovendo alcuni sassi. Scivolai indietro sulla roccia, sbattendo un piede sul terrazzino dove l'amico faceva sicura, e mi procurai - per fortuna - una distorsione ad una caviglia. Fui costretto a risalire comunque la parete, superare l’ultimo tiro e mezzo con un piede solo, uscire in vetta, traversare in Forcella e scendere il ghiaione. Giunto nel bosco ai piedi del Pomagagnon, ottenni un passaggio da due ragazzi saliti con noi che mi avevano aiutato a togliermi da quella situazione, e giunsi a casa con loro. L’incauto incidente mi costò 35 giorni di gesso e un bel po’ di riabilitazione. Mi rimisi in piedi in fretta, tanto che a fine giugno feci già un'altra salita, ma per un lungo periodo della Fiames non volli più sentir parlare. Dopo d’allora ho salito ancora la Dimai e la Ferrata ma, chissà perché, il ricordo del malaugurato incidente che poteva avere conseguenze molto serie, cancellò per sempre dal vocabolario l'espressione “ra mè Ponta Fiames”.
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