E' ricorso da poco il compleanno del Rifugio Nuvolau, primo ricovero costruito in quota nel territorio d’Ampezzo, eccettuato il più antico Ospizio Falzarego sulla strada del Passo omonimo.
Il genetliaco è particolare, forse più familiare agli ambienti alpinistici dell’area germanica: non si ricordano, infatti, né i cinquanta né i cento, bensì i 125 anni del Rifugio, che aprì i battenti agli escursionisti l’11 agosto 1883.
Facciamo subito un po’ di storia. All’inizio degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, il colonnello Richard von Meerheimb di Dresda, che era riuscito a debellare una penosa malattia alle gambe trasferendosi in Ampezzo, volle tramandare ai posteri la sua riconoscenza alla valle che l’aveva ospitato, e la cui aria benefica aveva potuto respirare per lunghi mesi.
Il generoso Meerheimb elargì quindi alla locale Sezione del Club Alpino Tedesco e Austriaco, sorta da pochi mesi ma già dedita con fervore alla valorizzazione del territorio di competenza, una discreta somma di denaro, fissando l’obbligo d’impiegare il contributo per costruire un ricovero alpino.
Sotto la presidenza di Giuseppe Ghedina Tomasc, il celebre pittore che nell’occasione realizzò una splendida carta dei sentieri della valle, sorse così il primo rifugio di Cortina, autentico nido d’aquila edificato sulla sommità di un monte, rinomato per il panorama a giro d’orizzonte che offre: il Nuvolau.
Già Paul Grohmann, infatti, aveva decantato il Nuvolau nelle sue “Wanderungen in den Dolomiten” del 1877, con queste parole “… Un mare di montagne è davanti a noi, e sarebbe inutile volerle elencare o descrivere. Soltanto la macchina fotografica potrebbe fissare le nostre impressioni. Alla nostra destra e sinistra abbiamo, ben nitide, le due cime del Nuvolau (l’Averau e la Gusela, N.d.A.). Imponente e grandiosa, davanti, la vedretta della Marmolada, tutta intera, ed i selvaggi contrafforti di Serauta e del Vernel. Più a destra, il gruppo del Catinaccio, il Sella col Boè, la Gardenaccia e la Croda Rossa. Altre montagne si levano davanti a questa cerchia possente, la catena del Monte Cappello (il Sas Ciapel) fra Fedaia e Livinallongo, il verde Passo del Pordoi, il Sasso di Stria, i Settsass, il Col di Lana ecc. … A sinistra, oltre la Marmolada, il gruppo delle Pale di San Martino con un piccolo ghiacciaio, poi il Pelmo, e via via l’Antelao, il Sorapiss, la Punta (la Cima) Bel Pra, i Cadini, il Cristallo, le tre Tofane. In fondo, lontano, il Duranno e cime nevose a intervalli. E questi ora citati non sono che i giganti che ci circondano …”
Memore del gesto del colonnello, la Sezione Ampezzo battezzò la costruzione “Sachsendankhütte”, ossia il “rifugio del ringraziamento del Sassone”. La festosa giornata inaugurale, purtroppo, fu rattristata dalla scomparsa della guida alpina Giuseppe Ghedina Tomasc, omonimo del Presidente del Club Alpino e primo salitore della Torre Grande d’Averau, il 17 settembre 1880. La guida appena quarantunenne precipitò, infatti, per motivi non molto chiari, dalla terrazza antistante il Rifugio, che cade a piombo sul Masarè dell’Avoi.
Trovandosi in prossimità della prima linea del fronte italiano, durante la Prima Guerra Mondiale il rifugio fu pesantemente danneggiato. La Sezione del CAI Cortina, riconfermata proprietaria al termine del conflitto, lo rimise a nuovo, con un lungo lavoro e sopportando ingenti spese, e soltanto nel 1930 riuscì ad offrire agli alpinisti una capanna più grande e accogliente di prima.
Circondato e quasi oppresso da altri rifugi, impianti di risalita e piste, oggi il Nuvolau è ancora uno degli edifici d’alta montagna più apprezzati delle Dolomiti. Vi si sale sempre e soltanto a piedi, la gestione trentennale della famiglia di Mansueto e Giovanna Siorpaes è preparata e cortese, e anche se il rifugio non è un punto di partenza per affrontare scalate di rilievo, il grandioso colpo d’occhio che si schiude dalla cima del monte, soprattutto in occasione della levata del sole, rende sempre emozionante l’ascensione lassù.
Una curiosità: fra i massi poco lontano dal rifugio, campeggia una singolare scultura bronzea, che reca l’iscrizione “Per la 800^ salita al Nuvolau – “Non fatica ma gioia” 1975”, e vanta una storia interessante e perlomeno curiosa.
La statua, opera dell’artista Natalino Sammartin di Montecchio Maggiore, fu fatta installare nell’estate 1975 da Riccardo Dalla Favera di Alano di Piave, che intese celebrare la sua … ottocentesima visita alla panoramica montagna, festeggiata coi gestori e gli amici agordini, e in occasione della quale lasciò anche un contributo al CAI per la ristrutturazione del rifugio.
Il generoso donatore aveva salito il Nuvolau per la prima volta negli anni ’30, durante il servizio militare volontario con i bersaglieri. Al Rifugio, riaperto da poco dopo la ristrutturazione postbellica, il giovane era arrivato salendo in bicicletta da Cortina attraverso il Passo Giau, e scendendo poi a Caprile.
Dalla Favera ebbe una vita movimentata. Laureato in agraria e veterinaria, appassionato ciclista, corse anche con Gino Bartali. Fu prigioniero per sei anni in India e al rilascio, quasi cadavere, fu ospitato per due mesi dal medico condotto a Colle Santa Lucia. Affezionatosi al paese, dal 1946 ogni anno vi trascorse le vacanze, eleggendo a cima preferita proprio il Nuvolau.
Dopo la posa della scultura, Dalla Favera non l’abbandonò, salendovi ancora per molti anni, fino a toccare l’incredibile primato di 1129 ascensioni. A Colle era ospite dell’Albergo Posta, fino al 1976, quando poté costruirsi una dimora assai originale, abbellita con numerose statue dell’amico Sammartin.
Nel 2000 si stabilì in paese in modo definitivo, perché era suo desiderio chiudere lassù l’esistenza, e vi morì novantenne nel giugno 2002. Riposa nel cimitero sul colle, e soltanto la chiesa gli toglie la vista del suo amato monte.
Nel ricordo di lo chi conobbe, Dalla Favera rimase un atleta fino a tarda età; saliva al rifugio in calzoni corti, amava bere una grappa zuccherata e pranzare sempre allo stesso tavolo. Spesso i clienti lo riconoscevano, per averlo visto pedalare sui passi dolomitici. I libri del Nuvolau riportano tutti i suoi passaggi, e molti collesi lo ricordano con simpatia e con ammirazione.
Il genetliaco è particolare, forse più familiare agli ambienti alpinistici dell’area germanica: non si ricordano, infatti, né i cinquanta né i cento, bensì i 125 anni del Rifugio, che aprì i battenti agli escursionisti l’11 agosto 1883.
Facciamo subito un po’ di storia. All’inizio degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, il colonnello Richard von Meerheimb di Dresda, che era riuscito a debellare una penosa malattia alle gambe trasferendosi in Ampezzo, volle tramandare ai posteri la sua riconoscenza alla valle che l’aveva ospitato, e la cui aria benefica aveva potuto respirare per lunghi mesi.
Il generoso Meerheimb elargì quindi alla locale Sezione del Club Alpino Tedesco e Austriaco, sorta da pochi mesi ma già dedita con fervore alla valorizzazione del territorio di competenza, una discreta somma di denaro, fissando l’obbligo d’impiegare il contributo per costruire un ricovero alpino.
Sotto la presidenza di Giuseppe Ghedina Tomasc, il celebre pittore che nell’occasione realizzò una splendida carta dei sentieri della valle, sorse così il primo rifugio di Cortina, autentico nido d’aquila edificato sulla sommità di un monte, rinomato per il panorama a giro d’orizzonte che offre: il Nuvolau.
Già Paul Grohmann, infatti, aveva decantato il Nuvolau nelle sue “Wanderungen in den Dolomiten” del 1877, con queste parole “… Un mare di montagne è davanti a noi, e sarebbe inutile volerle elencare o descrivere. Soltanto la macchina fotografica potrebbe fissare le nostre impressioni. Alla nostra destra e sinistra abbiamo, ben nitide, le due cime del Nuvolau (l’Averau e la Gusela, N.d.A.). Imponente e grandiosa, davanti, la vedretta della Marmolada, tutta intera, ed i selvaggi contrafforti di Serauta e del Vernel. Più a destra, il gruppo del Catinaccio, il Sella col Boè, la Gardenaccia e la Croda Rossa. Altre montagne si levano davanti a questa cerchia possente, la catena del Monte Cappello (il Sas Ciapel) fra Fedaia e Livinallongo, il verde Passo del Pordoi, il Sasso di Stria, i Settsass, il Col di Lana ecc. … A sinistra, oltre la Marmolada, il gruppo delle Pale di San Martino con un piccolo ghiacciaio, poi il Pelmo, e via via l’Antelao, il Sorapiss, la Punta (la Cima) Bel Pra, i Cadini, il Cristallo, le tre Tofane. In fondo, lontano, il Duranno e cime nevose a intervalli. E questi ora citati non sono che i giganti che ci circondano …”
Memore del gesto del colonnello, la Sezione Ampezzo battezzò la costruzione “Sachsendankhütte”, ossia il “rifugio del ringraziamento del Sassone”. La festosa giornata inaugurale, purtroppo, fu rattristata dalla scomparsa della guida alpina Giuseppe Ghedina Tomasc, omonimo del Presidente del Club Alpino e primo salitore della Torre Grande d’Averau, il 17 settembre 1880. La guida appena quarantunenne precipitò, infatti, per motivi non molto chiari, dalla terrazza antistante il Rifugio, che cade a piombo sul Masarè dell’Avoi.
Trovandosi in prossimità della prima linea del fronte italiano, durante la Prima Guerra Mondiale il rifugio fu pesantemente danneggiato. La Sezione del CAI Cortina, riconfermata proprietaria al termine del conflitto, lo rimise a nuovo, con un lungo lavoro e sopportando ingenti spese, e soltanto nel 1930 riuscì ad offrire agli alpinisti una capanna più grande e accogliente di prima.
Circondato e quasi oppresso da altri rifugi, impianti di risalita e piste, oggi il Nuvolau è ancora uno degli edifici d’alta montagna più apprezzati delle Dolomiti. Vi si sale sempre e soltanto a piedi, la gestione trentennale della famiglia di Mansueto e Giovanna Siorpaes è preparata e cortese, e anche se il rifugio non è un punto di partenza per affrontare scalate di rilievo, il grandioso colpo d’occhio che si schiude dalla cima del monte, soprattutto in occasione della levata del sole, rende sempre emozionante l’ascensione lassù.
Una curiosità: fra i massi poco lontano dal rifugio, campeggia una singolare scultura bronzea, che reca l’iscrizione “Per la 800^ salita al Nuvolau – “Non fatica ma gioia” 1975”, e vanta una storia interessante e perlomeno curiosa.
La statua, opera dell’artista Natalino Sammartin di Montecchio Maggiore, fu fatta installare nell’estate 1975 da Riccardo Dalla Favera di Alano di Piave, che intese celebrare la sua … ottocentesima visita alla panoramica montagna, festeggiata coi gestori e gli amici agordini, e in occasione della quale lasciò anche un contributo al CAI per la ristrutturazione del rifugio.
Il generoso donatore aveva salito il Nuvolau per la prima volta negli anni ’30, durante il servizio militare volontario con i bersaglieri. Al Rifugio, riaperto da poco dopo la ristrutturazione postbellica, il giovane era arrivato salendo in bicicletta da Cortina attraverso il Passo Giau, e scendendo poi a Caprile.
Dalla Favera ebbe una vita movimentata. Laureato in agraria e veterinaria, appassionato ciclista, corse anche con Gino Bartali. Fu prigioniero per sei anni in India e al rilascio, quasi cadavere, fu ospitato per due mesi dal medico condotto a Colle Santa Lucia. Affezionatosi al paese, dal 1946 ogni anno vi trascorse le vacanze, eleggendo a cima preferita proprio il Nuvolau.
Dopo la posa della scultura, Dalla Favera non l’abbandonò, salendovi ancora per molti anni, fino a toccare l’incredibile primato di 1129 ascensioni. A Colle era ospite dell’Albergo Posta, fino al 1976, quando poté costruirsi una dimora assai originale, abbellita con numerose statue dell’amico Sammartin.
Nel 2000 si stabilì in paese in modo definitivo, perché era suo desiderio chiudere lassù l’esistenza, e vi morì novantenne nel giugno 2002. Riposa nel cimitero sul colle, e soltanto la chiesa gli toglie la vista del suo amato monte.
Nel ricordo di lo chi conobbe, Dalla Favera rimase un atleta fino a tarda età; saliva al rifugio in calzoni corti, amava bere una grappa zuccherata e pranzare sempre allo stesso tavolo. Spesso i clienti lo riconoscevano, per averlo visto pedalare sui passi dolomitici. I libri del Nuvolau riportano tutti i suoi passaggi, e molti collesi lo ricordano con simpatia e con ammirazione.
(da Rivista Cortina, Estate 2008, modificato: grazie!)
1 commento:
Una bellissima storia, sarebbe bello conoscere la storia di ogni rifugio con tale dettaglio, complimenti Ernesto. Un saluto
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