martedì 12 agosto 2008

“150 anni di alpinismo”. Mostra fotografica sugli uomini che hanno segnato la storia alpinistica di San Vito di Cadore

Il CAI di San Vito di Cadore ha ideato la mostra (curata da Ernesto Majoni, Alberto Bonafede e Aldo Menegus e con allestimento e grafica di Giuseppe Ghedina), a seguito delle ricerche svolte per la stesura del volume “Da John Ball al 7° grado” di Ernesto Majoni, edito nel 2007 per il 150° anniversario della prima salita ufficiale del Pelmo. L’occasione ha permesso di individuare numerosi personaggi ed episodi legati a quella parte della storia sanvitese che concerne l’alpinismo. Le Dolomiti conseguirono fama internazionale grazie a studiosi ed esploratori provenienti in gran parte d’Oltralpe, da Ball a Grohmann e altri, che al rientro dai loro viaggi documentavano con fotografie, relazioni e schizzi le esplorazioni compiute. Furono quindi gli stranieri ad avviare la scoperta e la conquista delle Dolomiti; certo è che, accanto a loro, anche in Oltrechiusa compaiono preziose guide locali, che conoscevano a menadito ogni cengia, forcella, passaggio delle loro montagne. Costoro scoprirono che le cime – giudicate di scarso interesse dai valligiani, poiché prive di vegetazione e ricche soltanto di rocce e ghiaioni - potevano rivestire un ruolo nuovo, che migliorò l’economia e le condizioni di vita dei paesi dando inizio al turismo alpino.
Con la mostra si è voluto riscoprire e riordinare - per quanto possibile - questi personaggi ed eventi, in modo semplice e chiaro, rivalutando il ruolo d’ogni pioniere nell’ambito paesano, con l’intenzione di far conoscere i protagonisti dell’alpinismo sanvitese, di parte dei quali purtroppo sta svanendo la memoria. I pionieri erano perlopiù boscaioli e cacciatori, esperti del territorio in cui vivevano. Molti si valsero delle proprie conoscenze intraprendendo il nuovo mestiere di guida alpina, ben più vantaggioso delle professioni fino allora esercitate, legate in prevalenza a campi, boschi e pascoli. Intorno al 1860, a San Vito alcuni valligiani iniziarono a guidare turisti sull’Antelao e sul Pelmo, e poi manmano su vette sempre più difficili, spingendosi anche nelle valli limitrofe, dove strinsero amicizia e collaborazione con i colleghi locali. Da Matteo Ossi, cacciatore che toccò l’Antelao già nel 1851, a con Giobatta Giacin “Sgrinfa”, che nel 1857 condusse Ball alla conquista del Pelmo, e poi Luigi Cesaletti, Giobatta Zanucco, Giuseppe e Arcangelo Pordon, le guide di San Vito richiamarono alpinisti italiani e stranieri, che si servirono della loro esperienza e audacia per imprese di rilievo. Fino al termine della fase “storica”, San Vito ha dato i natali a una ventina di guide e portatori, che hanno felicemente contribuito alla redazione del “libro d’oro” dell’alpinismo dolomitico. Uomini e imprese sono stati catalogati con un approfondito lavoro di ricerca; si tratta perlopiù di nomi ignoti al vasto pubblico, che si prestarono come portatori e guide senza clamori, favorendo comunque l’esplorazione e la conoscenza della valle del Boite. Con questo lavoro, il CAI intende rivalutare e ufficializzare il ruolo che le guide e i portatori locali meritano, definendoli “pionieri dell’alpinismo sanvitese”. La ricostruzione storica è stata compiuta con la speranza di non aver tralasciato alcuno degli antesignani, sinora forse mai considerati e studiati nella dovuta maniera, che rivestono un ruolo importante nelle vicende della valle.
La seconda parte della mostra descrive l’evoluzione dell’andar per montagne a San Vito dopo la 2^ Guerra Mondiale. Si è ritenuto di far coincidere l’avvio dell’alpinismo moderno col secondo dopoguerra poiché, dopo l’uscita di scena degli ultimi pionieri, nel 1947 San Vito fu scosso da una novità. Sull’esempio degli Scoiattoli ampezzani, dei Ragni di Lecco e Pieve di Cadore, dei Pell e Oss di Monza, sorse, infatti, l’Associazione Caprioli, che ancora oggi personifica l'attività sportiva locale. Nata da un sodalizio fra compaesani ("… i più giovani avevano appena 15 anni, e il più vecchio 25 e si era appena rimesso da un tremendo congelamento che lo aveva colpito nella ritirata dalla Russia …"), l’associazione – in cui, all’inizio, si praticavano soltanto la scalata e lo sci - è cresciuta coltivando numerosi sport e facendo crescere l'intero paese. Fra i soci fondatori, dai quali sono usciti ottimi scalatori, risaltano Marcellino Fiori, per anni responsabile della stazione locale del Soccorso Alpino; Gianni Bonafede, guida con numerose vie all’attivo; Nicolò De Sandre, che nel 1997 - con Bortolo De Vido - dedicò ai “Caprioli” un volume celebrativo; Angelo Galeazzi, Giulio e Tomaso Menegus, Gianni Palatini, Giulio De Lucia e “Gigi” Colli, prima guida patentata a San Vito nel dopoguerra, scomparso appena trentenne. Dalla fine degli anni ’50, fra chi arrampica a San Vito s’impongono due ragazzi molto dotati. Natalino Menegus, che ci ha lasciato lo scorso 3 maggio, realizzò numerosi itinerari di grande difficoltà, sia sui monti di casa che altrove; fu fra i protagonisti della prima invernale della Via Solleder sulla parete N.O. della Civetta, guida alpina e pioniere dell’elisoccorso. Marcello Bonafede, rocciatore altrettanto forte ed umile, compagno dell’ampezzano Ivano Dibona in varie imprese ed oggi ancora attivo, ha ripetuto – molto spesso in cordata con Menegus - le maggiori vie dolomitiche e alpine, aprendone molte di nuove. Vanno poi ricordati almeno Emilio Menegus “Longo”, spesso in cordata con Natalino e Marcello, Marino Ossi, guida alpina e gestore da un ventennio del Rifugio San Marco, Arnaldo Pordon, Gianluigi De Sandre, Ivo Pordon.
Oggi l’alpinismo si è notevolmente modernizzato, dal vestiario ai materiali, dai metodi di preparazione alla scelta di cime, pareti e vie su cui divertirsi. Sono state scoperte ed attrezzate palestre di roccia per l’allenamento, sulle cui difficoltà si destreggiano giovani sanvitesi, che iniziano a scalare ben oltre il limite con il quale la precedente generazione spesso ha coronato la carriera. Negli anni ’80 è rinato il Gruppo Rocciatori Caprioli, per merito di valenti appassionati che hanno riportato il nome del paese alla ribalta dell’alpinismo: fra loro risaltano Mauro Olivotto, Alberto Bonafede e la scrittrice Antonella Fornari. Numerosi giovani abbracciano l’arrampicata libera, spesso con risultati d’alto livello (qui vanno citati soprattutto Michele Ossi e Alessandro Fiori), e – dopo sporadiche, quasi pionieristiche esperienze - ha preso piede anche in Oltrechiusa la voglia di cimentarsi sulle cime più alte ed impegnative del pianeta. Di recente, soprattutto con Marco Sala, il nome di San Vito è salito sul Cho Oyu, sullo Shisha Pangma, sull’Everest, e poi in Africa, sulle Ande, sull’Himalaya, in Karakorum; dovunque ci siano terreni da scoprire e sui quali l’uomo possa confrontarsi con la natura.
Quale futuro si può immaginare ora, per l’alpinismo di San Vito? Senza dubbio, quello comune a tante zone alpine: finché ci saranno montagne e uomini che le abitano, qualcuno avrà sempre voglia di salire più in alto, sfidare le difficoltà, misurarsi sulla roccia, sul ghiaccio, nel sole e nel vento, divertirsi sui sassi a fondovalle così come dare il massimo sulle cime più alte. È quanto il CAI di San Vito auspica, con l’aiuto della mostra: un godimento della montagna duraturo, appassionato e rispettoso dei valori storici e delle ricchezze che rendono le Dolomiti un “unicum” irripetibile.
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“150 anni di alpinismo”. Mostra fotografica sugli uomini che hanno segnato la storia alpinistica sanvitese, da Matteo Ossi al Gruppo Rocciatori Caprioli. San Vito di Cadore, Sala esposizioni dell’Asilio Vecchio, 8 agosto - 21 settembre 2008. Aperta tutti i giorni dalle ore 18.00 alle ore 21.00, ingresso libero.

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