giovedì 30 aprile 2009

Del Torrione Severino Casara sul Sorapis, ovvero di una pia intenzione giovanile.

Rifugio Lavaredo, 14 agosto 1976. Attendiamo che cessi un improvviso temporale per continuare la nostra gita, quando ho modo di conoscere Severino Casara. Ho diciott’anni e mastico montagna da un pezzo, ho già fatto qualche piccola scalata sulle mie crode e mando a memoria biografie di rocciatori, nomi di cime e salite: è un’emozione inaspettata conoscere e conversare con una figura importante, ma piuttosto discussa dell’alpinismo dolomitico. Nei giorni seguenti lo accompagniamo alle Cascate di Fanes, e si diverte molto. D’inverno ci sentiamo al telefono, e l’anno dopo ci ritroviamo a Cortina; nell'autunno 1977, passo con Cesare a salutarlo a Vicenza, discutendo per ore di cose di montagna, quelle che coltivo da sempre. Il 29 luglio 1978 Casara muore, settantacinquenne. Entusiasti come potevano essere tre ragazzi, con Enrico e Federico progettammo subito di ricordare l'amico. Volevamo dedicargli non solo una via, ma un massiccio torrione che credevamo, e credo ancora inviolato, che si stacca dal piede della Croda Rotta nel gruppo del Sorapis e domina la parte superiore della Val Orita. Da lontano fa una certa mostra di sé, ma - pur avendo lambito diverse volte le sue pendici, l'ultima verso la fine di luglio 2008 - non ho mai capito esattamente quale individualità abbia. In quegli anni mi pareva che facesse la sua porca figura, quindi pensavamo di esplorarlo, provare a salirlo ed in caso di successo dedicarlo al vicentino che aveva descritto così bene le Dolomiti. Avremmo inviato relazioni e fotografie alle riviste del settore e forse ci saremmo guadagnati anche noi un posto nella storia delle crode d’Ampezzo.Come sempre, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: forse il Torrione era troppo impegnativo, forse la qualità della roccia non meritava i nostri sforzi o forse eravamo ancora poco motivati, fatto sta che alla fine non se ne fece niente. Fu davvero un peccato!

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