domenica 19 ottobre 2008

Il Santobua non era Santo, ma suo figlio ...

Lo spunto per questa nota è nato da un'immagine, pubblicata su “Wanderungen in den Dolomiten” di T. von Wundt, tradotto da P. Berti De Nat in “Sulle Dolomiti d’Ampezzo” (Cooperativa di Cortina, 1996). Nel capitolo dedicato alla traversata del Rauhkofel, si vede un gradone roccioso dal quale scende a corda doppia un alpinista: a destra, un compagno l’osserva. Secondo chi scrive l’immagine, scattata nel 1893, è al centro di un “qui pro quo”. In alcuni testi, i cui autori forse non lessero o capirono bene tutto il capitolo del testo originale, l’alpinista a destra è Mansueto Barbaria, guida ampezzana (e su questo concordo). Quello che scende a corda doppia, invece, sarebbe Santo Siorpaes, uno dei padri delle guide di Cortina e delle Dolomiti. Wundt però non parla di Santo, ma di “Santobua”. “Bua” è che la pronuncia tirolese di “Bube”, e significa “ragazzo, moccioso”: la traduttrice ha reso il termine con “il giovane Santo”. Al tempo, Siorpaes aveva 61 anni e si era ritirato dalle montagne, quindi il giovane Santo potrebbe essere stato suo figlio Pietro, classe 1868, o il fratello Giovanni, più giovane di un anno, entrambi valenti guide. La precisazione non toglie a Santo il gusto di un’eventuale impresa senile, che si sommerebbe a quelle compiute nel periodo migliore. Vuol significare che spesso. nella ricerca storica, una parola mal compresa può travisare elementi che agli appassionati interessano dappresso. La traversata del Rauhkofel o Monte Fumo (la cui conquista fu compiuta da W. Eckerth e M. Innerkofler il 2/VII/1883) dalla Val di San Sigismondo verso Valfonda, non la fa forse nessuno, anche se l’ambiente è affascinante. Nel 1891, Eckerth la suggeriva nel suo libro “Il Gruppo del Cristallo”: Wundt raccolse la sfida e realizzò la traversata con successo, ma quasi certamente uno dei suoi compagni non era quello che, leggendo male il tedesco, si è sempre supposto.

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