domenica 12 settembre 2010

Pensieri poetici della domenica

Salire montagne è rivivere: liberarsi dalle tare, dalle remore, dall'inquinamento che avvelena la vita di fondovalle. Salire montagne è come uscire dal mondo, purificarsi per entrare in una dimensione nuova. Una dimensione dove quello che si lascia perde valore: contano solo la roccia, il vuoto, il cielo. La realtà è la propria vita affidata a nuovi elementi: appigli per le mani, appoggi per i piedi, la capacità di saperli vedere e sfruttare. Salire montagne vuol dire essere liberi, liberi di mirare verso l'alto. Le mani che accarezzano il sasso cercando l'appiglio. Un appiglio dopo l'altro, ci si alza sempre di più: l'orizzonte si allarga, si moltiplica in piani diversi fino a perdersi nell'infinito. Salire montagne vuol dire tendere sempre più all'immensità. Le mani si screpolano, sanguinano al contatto con la roccia, ma si continua a salire. Si sale fino a ubriacarsi di cielo, di roccia, di sole, fino alla soddisfazione del proprio modo di essere alpinisti. Salire montagne fino a giungere in vetta: è l'ambito premio alle proprie fatiche. Godere l'orizzonte delle montagne circostanti, in modo che la visione rimanga a lungo nell'animo e sia di conforto in ogni momento. Alzare le braccia verso l'alto per toccare con la punta delle dita l'azzurro del cielo. Salire montagne significa questo, ma anche di più.

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