venerdì 30 gennaio 2009

Torre Wundt, il sole della mia giovinezza

Una delle creature più note della guida Piero Mazzorana (1910-80), bella figura della storia dolomitica, è la fessura che solca la parete SE della Torre Wundt, nei Cadini di Misurina. Si tratta di una via nota, una delle oltre 40 aperte dalla guida nel gruppo, dove gran parte delle cime ha una "via Mazzorana", alcune delle quali classiche. Detta in antico Popéna Piciol, la torre fu conquistata da Theodor von Wundt con le guide Mansueto Barbaria e Giovanni Siorpaes di Cortina, nel 1893. Sulle sue pareti salirono poi alpinisti celebri come Angelo Dibona, ma la fessura fu affrontata solo il 7 settembre 1938, da Mazzorana col Conte Sandro Del Torso. Il pregio, e contemporaneamente il difetto della via (“elegante, aerea, varia e su roccia molto compatta” secondo Goedeke, che alle crode d’Auronzo, Comelico e Sesto ha dedicato nel 1983 un bel volume in tedesco) è che l’attacco dista 5 minuti dal Rifugio Fonda Savio. Anche se in parete non è scontato trovare altre cordate, il pericolo dei sassi smossi dagli scalatori è sempre reale. Alla base della Torre si sale dal Pian dei Spiriti in un’oretta; la via si concentra in 7 lunghezze, per un dislivello di 200 metri. Le difficoltà fra il III e il IV la rendono fruibile anche da scalatori di medio rango; l’attrezzatura è buona, e il rientro è veloce e non complesso. Tutti questi fattori, ineccepibili per una scalata dolomitica, anche se spesso convogliano su alcuni itinerari decine di alpinisti contemporaneamente, mi hanno indotto a ripetere spesso la Mazzorana-Del Torso, anche più di una volta in una stagione. Cercando un percorso nuovo e, se possibile, comodo dove condurre un amico di Bologna, giunsi per la prima volta sulla Wundt il 12 agosto 1981. Fino al 1996 ho poi rifatto la Mazzorana altre diciotto volte, sempre traendone piacere e soddisfazione. La ricordo con nostalgia, giacché riuscivamo a salirla anche in un pomeriggio e in essa trovavamo il “mix” ideale per le nostre capacità e preferenze estetiche. Il diedro iniziale, verticale e articolato, la fessura stretta e obliqua dove una volta volli passare con lo zaino sudando sette camicie, il camino che adduce alla fotogenica grotta visibile anche dal Rifugio, la traversata centocinquantametri sopra le ghiaie, la rampa dove si tirava il fiato e le roccette terminali, dove acceleravamo sempre l'andatura per giungere presto in cima, godendone al massimo. La firma sul libro di vetta, poi, era un rito atteso e gioioso! Negli anni '80, sulla via trovavamo due soli chiodi, e non ne aggiungemmo mai altri! Nell'estate 1986, vista la crescente popolarità del percorso, ne furono cementati altri, migliorando senz’altro la sicurezza degli scalatori ma privando la fessura di quel po' di avventura, che aveva conservato per molti anni. Oggi, passando alla base della via, mi è capitato di notare cordate all’opera. Le ho seguite con “competenza” e un po’ di commozione, pensando ai miei vent’anni. Mi consolo però pensando che – se mai riuscirò ad innalzarmi ancora nel diedro "chiave" senza imbottigliarmi – avrò ancora la gioia di firmare il libretto sulla panoramica Torre Wundt, una delle vette dolomitiche che mi sono rimaste più care.

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