Un secolo fa, la stagione inizia con la scomparsa, avvenuta il 5 gennaio, di un elemento di primo piano per l’alpinismo ampezzano fra i due secoli: Pietro Antonio Dimai Deo, detto “Piero de Jènzio”. Luminosa figura di pioniere della montagna, cui sono attribuite 12 nuove salite, due prime invernali e molte ascensioni sulle Dolomiti. Piero nacque a Chiave, in una casa dalla quale usciranno sette guide alpine, l’8 settembre 1855, da Fulgenzio "Deo" e Maria Francesca Apollonio.
Il padre e lo zio Angelo, consacrati da Paul Grohmann, furono fra i primi esploratori dei nostri monti e il 28 settembre 1864 guidarono il viennese sulla più alta vetta dolomitica, la Marmolada. Divennero poi rinomate guide anche Arcangelo ed il fratello Antonio, figli di Angelo, Angelo e Giuseppe, figli di Antonio.
Pietro consegue il permesso di svolgere la professione nel 1874: sarà uno dei pochi ampezzani a toccare il traguardo prima dei vent'anni. Col padre, lo zio, il cugino, il futuro suocero Santo Siorpaes, Alessandro Lacedelli, Giuseppe Ghedina, Angelo Menardi e Angelo Andrea Zangiacomi (manca Giovanni Barbaria, appena autorizzato), compare già nel primo elenco delle guide alpine d’Ampezzo, pubblicato il 1° marzo 1876.
Già da tempo, però, Grohmann lo aveva ritenuto meritevole d’attenzione: “Devo ricordare i figli di Angelo e di Fulgenzio Dimai e cioè Arcangelo e Pietro Dimai, due bravi giovani. Penso che soprattutto il primo potrà diventare una guida eccellente”.
Attivo come guida per oltre un trentennio, il 21 settembre 1907, poco prima di soccombere cinquantaduenne ad una polmonite fulminante, porterà l’ultimo cliente, il dottor E. Luzmann, sulla Croda da Lago per la “sua” Via Sinigaglia.
Durante l’inverno Oskar Schuster, antesignano dello scialpinismo, con Henry Hoek guadagna in sci la Croda del Beco. I due fanno forse base all’Egererhütte, costruita l’anno precedente presso la Porta sora al Forn, e salgono poi lungo la via normale per la cresta sud-est.
L’attività esplorativa in valle prende avvio già in primavera. È l’8 giugno, infatti, quando Karl Günther von Saar e Karl Domenigg, soci della “Squadra della Scarpa Grossa”, vengono in Ampezzo per salire la Cima Nord della Torre Grande d’Averau da nord-ovest, lungo una parete di medio impegno, oggi sconsigliabile per il pericolo di sassi e la friabilità della parte superiore.
Il 29 luglio si spegne a Vienna, dov’era nato settant’anni prima, Paul Grohmann, esploratore e aedo delle Dolomiti. “Se la prima parte della sua vita – scrisse Terschak - spesa all’aria libera delle Dolomiti, da lui tanto amate, fu brillante e senza preoccupazioni, all’età matura la vita fu per lui dura e difficile; perduto, in un famoso crac finanziario, tutto il proprio patrimonio, egli dovette guadagnarsi il pane in condizioni non liete. Molto deve il mondo alpinistico, ed in particolare la regione dolomitica a Paolo Grohmann, il cui lavoro di scoperta e di valorizzazione non potrà mai essere dimenticato.”
Nella prima decade d’agosto, alcuni austriaci compiono tre nuove salite di scarso valore alpinistico, ma utili per l’esplorazione dei gruppi che attorniano Cortina.
Il 2, L. Geith e W. Thiel salgono la Punta del Col Bechei di Sopra, rilievo che domina il Lago di Limo, al confine fra Marebbe e Ampezzo, partendo da Forcella Camin ed avventurandosi lungo un versante di roccia molto friabile.
Il 7, “Carletto” Domenigg, Geith, Thiel e A Ziegler giungono in vetta alla Cima Fanis Sud dal versante sud, seguendo la cengia che oggi incrocia la via ferrata “Cesco Tomaselli”.
Due giorni più tardi, mentre Geith si riposa, gli altri tre conquistano la Cima del Lago, marcata elevazione dei monti di Fanes, partendo dall’omonima forcella e rientrando alla base per un largo camino e i lastroni della parete est.
Antonio Dimai, in cordata con le sorelle ungheresi Ilona e Rolanda von Eötvös e con il collega svizzero Franz Summermatter, coglie una rilevante affermazione l'11 agosto, superando i 600 metri della parete sud del Sasso Levante (Punta Grohmann), massiccio blocco di dolomia al vertice del grande ferro di cavallo costituito dal gruppo del Sassolungo. L’itinerario rimane una delle migliori affermazioni extra-ampezzane di Dimai, considerato uno dei più rappresentativi esponenti dell’alpinismo dolomitico tra il 1890 e il 1910.
Lo stesso giorno, altre due guide di Cortina ottengono un successo fuori dei monti di casa. Angelo Dibona e Agostino Verzi, coi britannici E. A. Broome e H. Corning, compiono il primo assaggio del versante ovest della Roda di Vael nel Catinaccio. Le cordate salgono le rocce grigie del pilastro destro, unico settore accessibile con i mezzi dell’epoca sulla repulsiva “Parete Rossa”, trovando nei camini difficoltà d’alto livello.
Il 19 agosto (non il 2 settembre, come riportato da diverse pubblicazioni), le guide Bortolo Barbaria e Giuseppe Menardi accompagnano gli alpinisti di Venezia Francesco Berti e Ludovico Miari in una difficile ascensione.
I quattro salgono per primi il Becco di Mezzodì da nord, superando l’ombroso camino che, più tardi, riceverà il nome di “Camino Barbaria”. Seconde salitrici della via, il 31 luglio 1909, saranno Ilona e Rolanda von Eötvös con gli inseparabili Dimai e Verzi.
Sempre in agosto, Karl Stumpf compie la probabile seconda salita e prima solitaria della parete sud-est della Cima Cadin di Fanis, scalata l’anno prima da Domenigg e compagni, e apporta alla via un’impegnativa variante, lungo parte dello spigolo sud.
In data imprecisata, Angelo Dibona, agli albori di una magnifica carriera, supera da solo le eccezionali difficoltà di un’ardita torre, che s’innalza in Val Popena Alta. Il pinnacolo, sul quale Dibona tornerà col collega Luigi Rizzi di Campitello, Guido e Max Mayer il 28 luglio 1909, sarà battezzato Campanile Dibona.
La stagione annovera anche un’altra importante ascensione del quartetto Dibona-Verzi-Broome-Corning, che in estate supera la parete nord della Torre Orientale del Latemar, compiendo una lunga e dura arrampicata per camini.
L’annata si chiude registrando 48 prime ascensioni sulle crode dolomitiche, ma risulta molto importante anche dal punto di vista culturale.
La Tipografia F.lli Drucker di Padova pubblica, infatti, un’opera del tutto innovativa, “Le Dolomiti del Cadore”. Sono 166 pagine di relazioni alpinistiche, schizzi e fotografie del giovanissimo medico alpinista Antonio Berti, che costituiranno l’embrione della fondamentale e insuperata guida “Dolomiti Orientali”, uscita vent’anni dopo.
Il padre e lo zio Angelo, consacrati da Paul Grohmann, furono fra i primi esploratori dei nostri monti e il 28 settembre 1864 guidarono il viennese sulla più alta vetta dolomitica, la Marmolada. Divennero poi rinomate guide anche Arcangelo ed il fratello Antonio, figli di Angelo, Angelo e Giuseppe, figli di Antonio.
Pietro consegue il permesso di svolgere la professione nel 1874: sarà uno dei pochi ampezzani a toccare il traguardo prima dei vent'anni. Col padre, lo zio, il cugino, il futuro suocero Santo Siorpaes, Alessandro Lacedelli, Giuseppe Ghedina, Angelo Menardi e Angelo Andrea Zangiacomi (manca Giovanni Barbaria, appena autorizzato), compare già nel primo elenco delle guide alpine d’Ampezzo, pubblicato il 1° marzo 1876.
Già da tempo, però, Grohmann lo aveva ritenuto meritevole d’attenzione: “Devo ricordare i figli di Angelo e di Fulgenzio Dimai e cioè Arcangelo e Pietro Dimai, due bravi giovani. Penso che soprattutto il primo potrà diventare una guida eccellente”.
Attivo come guida per oltre un trentennio, il 21 settembre 1907, poco prima di soccombere cinquantaduenne ad una polmonite fulminante, porterà l’ultimo cliente, il dottor E. Luzmann, sulla Croda da Lago per la “sua” Via Sinigaglia.
Durante l’inverno Oskar Schuster, antesignano dello scialpinismo, con Henry Hoek guadagna in sci la Croda del Beco. I due fanno forse base all’Egererhütte, costruita l’anno precedente presso la Porta sora al Forn, e salgono poi lungo la via normale per la cresta sud-est.
L’attività esplorativa in valle prende avvio già in primavera. È l’8 giugno, infatti, quando Karl Günther von Saar e Karl Domenigg, soci della “Squadra della Scarpa Grossa”, vengono in Ampezzo per salire la Cima Nord della Torre Grande d’Averau da nord-ovest, lungo una parete di medio impegno, oggi sconsigliabile per il pericolo di sassi e la friabilità della parte superiore.
Il 29 luglio si spegne a Vienna, dov’era nato settant’anni prima, Paul Grohmann, esploratore e aedo delle Dolomiti. “Se la prima parte della sua vita – scrisse Terschak - spesa all’aria libera delle Dolomiti, da lui tanto amate, fu brillante e senza preoccupazioni, all’età matura la vita fu per lui dura e difficile; perduto, in un famoso crac finanziario, tutto il proprio patrimonio, egli dovette guadagnarsi il pane in condizioni non liete. Molto deve il mondo alpinistico, ed in particolare la regione dolomitica a Paolo Grohmann, il cui lavoro di scoperta e di valorizzazione non potrà mai essere dimenticato.”
Nella prima decade d’agosto, alcuni austriaci compiono tre nuove salite di scarso valore alpinistico, ma utili per l’esplorazione dei gruppi che attorniano Cortina.
Il 2, L. Geith e W. Thiel salgono la Punta del Col Bechei di Sopra, rilievo che domina il Lago di Limo, al confine fra Marebbe e Ampezzo, partendo da Forcella Camin ed avventurandosi lungo un versante di roccia molto friabile.
Il 7, “Carletto” Domenigg, Geith, Thiel e A Ziegler giungono in vetta alla Cima Fanis Sud dal versante sud, seguendo la cengia che oggi incrocia la via ferrata “Cesco Tomaselli”.
Due giorni più tardi, mentre Geith si riposa, gli altri tre conquistano la Cima del Lago, marcata elevazione dei monti di Fanes, partendo dall’omonima forcella e rientrando alla base per un largo camino e i lastroni della parete est.
Antonio Dimai, in cordata con le sorelle ungheresi Ilona e Rolanda von Eötvös e con il collega svizzero Franz Summermatter, coglie una rilevante affermazione l'11 agosto, superando i 600 metri della parete sud del Sasso Levante (Punta Grohmann), massiccio blocco di dolomia al vertice del grande ferro di cavallo costituito dal gruppo del Sassolungo. L’itinerario rimane una delle migliori affermazioni extra-ampezzane di Dimai, considerato uno dei più rappresentativi esponenti dell’alpinismo dolomitico tra il 1890 e il 1910.
Lo stesso giorno, altre due guide di Cortina ottengono un successo fuori dei monti di casa. Angelo Dibona e Agostino Verzi, coi britannici E. A. Broome e H. Corning, compiono il primo assaggio del versante ovest della Roda di Vael nel Catinaccio. Le cordate salgono le rocce grigie del pilastro destro, unico settore accessibile con i mezzi dell’epoca sulla repulsiva “Parete Rossa”, trovando nei camini difficoltà d’alto livello.
Il 19 agosto (non il 2 settembre, come riportato da diverse pubblicazioni), le guide Bortolo Barbaria e Giuseppe Menardi accompagnano gli alpinisti di Venezia Francesco Berti e Ludovico Miari in una difficile ascensione.
I quattro salgono per primi il Becco di Mezzodì da nord, superando l’ombroso camino che, più tardi, riceverà il nome di “Camino Barbaria”. Seconde salitrici della via, il 31 luglio 1909, saranno Ilona e Rolanda von Eötvös con gli inseparabili Dimai e Verzi.
Sempre in agosto, Karl Stumpf compie la probabile seconda salita e prima solitaria della parete sud-est della Cima Cadin di Fanis, scalata l’anno prima da Domenigg e compagni, e apporta alla via un’impegnativa variante, lungo parte dello spigolo sud.
In data imprecisata, Angelo Dibona, agli albori di una magnifica carriera, supera da solo le eccezionali difficoltà di un’ardita torre, che s’innalza in Val Popena Alta. Il pinnacolo, sul quale Dibona tornerà col collega Luigi Rizzi di Campitello, Guido e Max Mayer il 28 luglio 1909, sarà battezzato Campanile Dibona.
La stagione annovera anche un’altra importante ascensione del quartetto Dibona-Verzi-Broome-Corning, che in estate supera la parete nord della Torre Orientale del Latemar, compiendo una lunga e dura arrampicata per camini.
L’annata si chiude registrando 48 prime ascensioni sulle crode dolomitiche, ma risulta molto importante anche dal punto di vista culturale.
La Tipografia F.lli Drucker di Padova pubblica, infatti, un’opera del tutto innovativa, “Le Dolomiti del Cadore”. Sono 166 pagine di relazioni alpinistiche, schizzi e fotografie del giovanissimo medico alpinista Antonio Berti, che costituiranno l’embrione della fondamentale e insuperata guida “Dolomiti Orientali”, uscita vent’anni dopo.
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